UNA STRATEGIA PER WÄRTSILÄ (E TUTTI I CASI SIMILI)
Per gentile concessione de "Il Piccolo"
Ormai quando sento parlare di “convocazione di un tavolo”, che sia alla Regione o al MiSE, all’esplodere dell'ennesima crisi aziendale (o presunta tale), mi viene il latte alle ginocchia. Stavolta è il turno di Wärtsilä, ma è solo l'ultimo caso di una lista infinita e ogni volta l’impressione è che non si sappia da dove cominciare (salvo appunto rivolgere un generico sollecito ad “aprire un tavolo”). Ma le situazioni di crisi non vanno rincorse – o peggio subite -, vanno previste perché sono fisiologiche nel mondo globalizzato. L'importante è essere preparati a gestirle, o almeno a gestirne i costi sociali.
Vanno innanzitutto distinti gli interventi mirati a ricomporre la crisi, negoziando con l'azienda in questione (o con chi la controlla) dagli altri interventi possibili, nel caso in cui il negoziato fallisse, che però occorre avere presenti fin da subito, anche per far capire alla controparte (magari con una fuga di notizie pilotata) che non può tirare la corda più di tanto perché possono esserci altre opzioni valide.
Tra i primi ci sono i classici “bastone e carota”: qualsiasi vantaggio selettivo accordato a Wärtsilä, anche non classificabile a rigore come finanziamento pubblico (per esempio un prezzo troppo generoso riconosciuto per la cessione dei capannoni), se non nel rigoroso rispetto dei parametri UE, potrebbe venir segnalato alla commissione europea che a sua volta potrebbe ordinarne la restituzione maggiorata degli interessi! La carota potrebbe essere rappresentata dal finanziamento pubblico di attività di ricerca, sviluppo ed innovazione e probabilmente di interventi per la tutela dell'ambiente che dovrebbero far piacere all'azienda perché le consentirebbero di fregiarsi di certificazioni ambientali ormai universalmente apprezzate (e mi chiedo quale sia il suo posizionamento rispetto al sistema “ETS” - Emissions Trading System, credito o debito di “diritti ad inquinare”?).
E se si mettesse male? Tra le opzioni percorribili c'è anche quella di concedere aiuti pubblici per l'acquisizione dello stabilimento (che altrimenti verrebbe chiuso) da parte di un soggetto terzo (posto che le circostanze, le dimensioni aziendali, il settore di mercato e la tipologia di impianti lo consentano) a condizione che impianti ed attrezzature non vengano smantellati. Oppure ancora, in particolare trattandosi di un'attività che fa utili e che per di più ha intersezioni con l’industria della difesa, potrebbe essere acquisita dallo Stato – direttamente o indirettamente – magari temporaneamente, senza nessun timore di indagini dell’UE! In entrambi i casi Wärtsilä capirebbe subito che spostando la produzione altrove perderebbe una quota di mercato significativa, ovvero avrebbe un nuovo pericoloso concorrente.
Da ultimo, se nonostante tutto ci fossero degli esuberi, occorre garantire la tutela dei lavoratori. Per esempio sostenendo con aiuti pubblici parte del costo del lavoro di imprese disposte ad assumere gli esuberi o, ultima risorsa, aiutare direttamente i dipendenti fuoriusciti con contributi ad personam, in aggiunta a quanto riconosciuto dall'azienda (per esempio per consentire l'avvio di attività di lavoro autonomo).
Allo stesso tempo è necessaria una riflessione sui possibili elementi comuni che si ripetono nelle crisi aziendali di un determinato territorio e, se questi ultimi fossero dovuti a carenze infrastrutturali o strutturali – in altri termini se il territorio si rivelasse ben poco “business-friendly”, si dovrebbe predisporre un piano d'azione di medio-lungo termine che rimuova questi ostacoli all'insediamento e alla permanenza di attività industriali. La rete trasportistica e logistica in primis (e la sua adeguatezza e dinamicità rispetto alle esigenze delle imprese), la riduzione strutturale e generalizzata degli oneri amministrativi, il sistema della formazione, la digitalizzazione, le opportunità di sviluppo ed innovazione, e altro ancora.
Mi sembra difficile che, sedendosi al famoso “tavolo di crisi”, davanti ad interlocutori che dispongano di questa “strumentazione” di negoziato, la controparte possa (e trovi conveniente) opporre soltanto dei no pregiudiziali, salvo mettere in mostra la propria cattiva fede (e forse farsi del male).
Giorgio Perini
Foto: Il Piccolo