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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 14/07

Care lettrici e cari lettori, anche per quest'anno è giunto il momento della consueta pausa estiva per la Rassegna Stampa di Dialoghi Europei. Vi ringraziamo per averci seguito e, in attesa di rivederci a settembre, vi auguriamo una buona lettura oltre che, naturalmente, una buona estate!
 

Con uno scarno comunicato di una riga e mezza, nel maggio 2022 le Nazioni Unite hanno ufficializzato la modifica della denominazione in lingua inglese della Turchia: non più Republic of Turkey, bensì Republic of Türkiye (leggi). Secondo l’Università internazionale di Roma, la richiesta del Governo turco di introdurre tale modifica “avrebbe a che fare con le traduzioni associate al nome «Turkey» che, in inglese, viene tradotto come «tacchino»” (leggi). Il fatto, di per sé aneddotico, è sintomatico di quanto l’ideologia dell’AKP, il partito di Recep Tayyip Erdoğan, sia da un lato permeata di spavaldo nazionalismo, ma dall’altro indugi in un vittimismo che adombra la presenza di nemici all’estero e in patria. Un esempio recente è quello dei commenti alle elezioni amministrative di marzo: come riferito da Euronews, dopo la sconfitta a Istanbul e Ankara i sostenitori di Erdoğan hanno stigmatizzato i “turchi ingrati” (leggi). Questo clima di tensione sciovinista è probabilmente funzionale al Presidente turco, che può distogliere l’attenzione dalle difficoltà economiche del paese (secondo il MENA Research Center le politiche governative hanno effetti catastrofici: leggi), ma resta il fatto che la temperie politica nel paese sembra avviata al cambiamento: ne scrive con dovizia di informazioni il CESPI nel suo “Osservatorio Turchia” (leggi).

 

Riferendo in merito al vertice dei capi di Stato dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) tenutosi ad Astana, in Kazakhstan, nei primi giorni di luglio, molti organi di informazione hanno dato rilievo soprattutto alle dichiarazioni di Vladimir Putin e Xi-Jinping, che hanno parlato di “età dell'oro delle relazioni Mosca-Pechino” (come riportato dalla ADNKronosleggi), e all’incontro tra lo stesso Putin ed Erdoğan (ne ha riferito il sito della televisione turca TNTleggi), in cui si è parlato anche di Ucraina (come riferito da Euronewsleggi). Non può essere tuttavia trascurata l’importanza del vertice in quanto tale. La SCO, nata nel 2001, non è una semplice organizzazione di cooperazione tra paesi asiatici, ma si prefigge anche lo scopo di “Promuovere un nuovo ordine politico ed economico internazionale”, come risulta dal sito istituzionale (leggi), e come ben illustra una scheda proposta dalla Radiotelevisione svizzera di lingua italianaleggi. L’obiettivo di un nuovo ordine mondiale è evidentemente anche quello dei BRICS, che proprio a Shangai hanno costituito la Nuova Banca per lo Sviluppo (qui il sito ufficiale), i cui progetti comprendono la “de-dollarizzazione” del commercio mondiale e la creazione di una valuta digitale autonoma. Su questi ed altri interessanti aspetti si sofferma un articolo del Quincy Institute for Responsible Statecraft (centro studi bipartisan che sostiene il ricorso alla diplomazia per la soluzione delle crisi): leggi.

 

Anche nella moderna società tecnologica i simboli contano e continuano a trasmettere messaggi di appartenenza. In occasione della breve visita del nuovo Primo ministro Keir Starmer a Belfast, un articolo sul sito della BBC ricorda come il monumento alla Regina Vittoria davanti al municipio della capitale nordirlandese, simbolo della “cultura britannica ed unionista” (leggi), sia stato affiancato l’8 marzo scorso dalle statue di due attiviste irlandesi del XVIII e XIX secolo, molto amate negli ambienti repubblicani.  Sembra proprio non essere un caso che tale omaggio sia giunto quando ormai da un paio d’anni il partito della sinistra nazionalista Sinn Fein (che propugna la riunificazione dell’Irlanda) si è affermato come prima forza politica dell’Ulster (ne scrive Inside Overleggi). Anche alle elezioni parlamentari del 4 luglio il Sinn Fein ha ottenuto un ottimo risultato, e la presidente del partito, Mary Lou McDonald, ha esortato Starmer ad “abbracciare il diritto all'autodeterminazione irlandese e il cambiamento costituzionale verso la riunificazione dell’Irlanda”, come riportato dal notiziario dublinese online The Journalleggi. Con un retaggio del passato che ancora pesa nel dibattito politico, il nuovo governo laburista ha già davanti a sé qualche scoglio: il primo sarà quello relativo alla promessa di abrogare (e riformulare) la legge voluta dai conservatori che tutela i veterani dell’esercito coinvolti nei troubles (di cui riassume la cronologia la Treccani: leggi). Un giudizio critico in merito alla legge in questione è stato pubblicato dal sito di difesa dei diritti umani Phoenix Lawleggi).

 

Nel crollo dell’Unione sovietica materializzatosi dopo la caduta del muro di Berlino, l’Europa intravide l’opportunità di contribuire “all’introduzione di un nuovo ordine internazionale” (come disse Jaques Delors nel presentare il programma della Commissione per il 1991 – testo disponibile negli archivi del Bollettino CEleggi) ma anche, più prosaicamente, di accedere a nuovi mercati. Negli stessi anni anche in Sudamerica si puntava alla creazione di un grande mercato comune e proprio nel 1991 Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay firmarono a tal fine il Trattato di Asunción che creò il MERCOSUR (il sito istituzionale ne indica le finalità: leggi). A partire dal 2000, MERCOSUR e UE avviarono negoziati per la conclusione di un accordo di libero scambio, che fu effettivamente siglato nel 2019 ma che non è poi mai stato ratificato (la cronistoria è sul sito della Commissioneleggi). Tra i molti contrari alla ratifica c’è anche l’organizzazione ecologista Friends of the Earth Europeleggi. Le prospettive di una soluzione positiva sono assai incerte: come scriveva Euractiv nel febbraio scorso, “i negoziati [sono] sull’orlo del collasso”: leggi. Ad aggravare la situazione c’è ora anche il fatto che il MERCOSUR stesso sembra entrato in crisi. Il presidente argentino Javier Milei ha disertato l’ultimo vertice dell’Organizzazione (come riferisce l’Associated Pressleggi) e il suo omologo uruguaiano Luis Lacalle Pou (l’Uruguay ha la presidenza rotante del sodalizio) ha dichiarato che non intende rinunciare ad accordi bilaterali firmati con la Cina, nonostante ciò sia vietato dal Trattato del MERCOSUR (ne ha scritto l’ANSAleggi).

 

La vittoria del “Nouveau Front Populaire” alle elezioni legislative francesi, inattesa nei numeri, è meno sorprendente se osservata in prospettiva storica. Già nel 2002 il gollista Jacques Chirac venne eletto al secondo turno Presidente della Repubblica (con oltre l’80% dei suffragi) grazie al fatto che quasi tutte le forze democratiche diedero indicazione ai propri sostenitori di votarlo pur di impedire la vittoria di Jean-Marie Le Pen: il sito del Terzo settore Vita, scrisse allora che “i candidati della «gauche plurielle»” […] si sono appellati ai valori della Repubblica e hanno dichiarato che voteranno per il presidente uscente per sconfiggere l’estrema destra «fascista»” (leggi). 15 anni dopo, concluse le presidenziali del 2017, l’agenzia AGI scrisse che “secondo un […] sondaggio IPSOS, il 43% degli elettori di Macron [ha dichiarato] di aver votato solo per fermare [Marine] Le Pen”: leggi. Resta il fatto che in questo 2024 la situazione appare molto più fragile, dato che – al momento – manca sia una maggioranza “presidenziale”, sia l’alternativa di una schietta coabitazione. Quest’ultima costituirebbe in realtà un fenomeno non inusuale nella recente storia francese, sebbene non privo di rischi. Nel 2002 il sito Diritto Consenso (leggi), ha segnalato come, in caso di coabitazione, “ci sarebbero grosse difficoltà nella conduzione della politica nazionale: Presidente della Repubblica e Primo Ministro si troverebbero in costante competizione, quasi in attrito, il che determinerebbe una generale minore coesione nazionale”. In questo contesto, non sono poche le preoccupazioni tedesche, vista l’importanza che Berlino attribuisce alla cooperazione con Parigi, anche e soprattutto in prospettiva europea. Secondo Euractiv, un indebolimento dell’asse franco-tedesco aprirebbe nuovi spazi per una presenza più dinamica e determinante della Polonia (leggi).