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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 15/09/24

A parte i casi “problematici” ancora da risolvere, molti dei Commissari designati si stanno probabilmente preparando per le audizioni al Parlamento europeo. La definizione dei campi di competenza finora preconizzati dalla Presidente von der Leyen delinea il probabile approccio che sarà seguito una volta entrato in funzione il nuovo esecutivo. Nel caso dell’allargamento, la scelta di avere un Commissario responsabile solo di questa politica (nella Commissione uscente Olivér Várhelyi ha competenza sia per l’allargamento che per il vicinato – come descritto su Europa.euleggi) rappresenta un segnale della volontà di Bruxelles di dare concretezza al processo che, se è recente per Ucraina, Moldova e Georgia (la decisone del Consiglio è di giugno: leggi), dura da più di vent’anni per i Balcani occidentali (la celebre dichiarazione di Salonicco è del 2003: leggi sul sito Europa.eu). In un tale contesto, il nuovo Commissario dovrà innanzi tutto trovar modo di uscire dall’attuale impasse proponendo qualche obiettivo intermedio che porti a risultati concreti pur in attesa dell’adesione vera e propria. Si sta facendo strada, a questo riguardo, l’ipotesi di concedere preliminarmente ai paesi interessati l’accesso al mercato unico. La proposta è illustrata dall’European Stability Initiative (leggi). Della stessa si è dichiarato paladino anche Enrico Letta (in un’intervista pubblicata sul sito dell’Atlantic Councilascolta), considerato ormai il grande esperto di mercato unico, dopo la pubblicazione della sua relazione sul tema (il testo è accessibile anche dal sito Europafacileleggi). Va notato come il suggerimento dell’ex Primo ministro italiano comprenda anche l’aggiunta di un’ulteriore “libertà di movimento”: alle quattro tradizionali (beni, servizi, capitali e persone) dovrebbero aggiungersi una quinta comprendente diversi settori, tra cui ricerca, innovazione, dati, competenze, conoscenza e istruzione (l’aveva già sottolineato Il Foglio all’uscita della “Relazione Letta”: leggi).

 

Nel maggio di quest’anno il Consiglio dell’UE ha formalmente adottato il nuovo “Patto sulla migrazione e l’asilo” (la descrizione è sul sito Europa.euleggi). Quando nel 2023 la proposta normativa venne presentata, la premier Meloni si dichiarò “soddisfatta di essere riuscita a porre la questione”, mentre per il Ministro dell’interno Piantedosi “l’Italia [aveva] ottenuto il consenso su tutte le proposte avanzate” (entrambe le citazioni sono riprese da un articolo di RAINewsleggi). Nell’attesa che le misure previste dal Patto entrino in vigore nel 2026, organizzazioni ed esperti coinvolti nell’assistenza dei migranti non cessano di criticare il provvedimento. La Civiltà cattolica ad esempio ha pubblicato in questo inizio di settembre una lunga e puntigliosa disamina dei contenuti del Patto, giungendo tra l’altro alla conclusione che esso “presta ben poca attenzione alle persone”, e contribuirà a rafforzare la tendenza a tenere i migranti “fisicamente lontani dalle comunità locali, ad esempio in centri di detenzione presso i confini” (leggi la versione inglese; quella italiana è riservata agli abbonati). Il problema dell’assistenza nei centri di accoglienza e della loro gestione è ben noto lungo tutta la rotta balcanica, con innumerevoli situazioni critiche. Una speranza che qualcosa possa  cambiare è espressa dall’Osservatorio Balcani Caucaso (leggi), secondo il quale “le autorità bosniaco-erzegovesi si apprestano ad assumere un ruolo più attivo nelle politiche migratorie per allinearsi agli standard europei e adempiere agli impegni della BiH come paese candidato all’adesione all’UE”: un messaggio che dovrebbe far riflettere chi nega i benefici della politica di allargamento e delle riforme che essa promuove.

 

Quando a seguito delle elezioni dell’ottobre 2023 il governo ultra-conservatore guidato dal partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość – PiS) ha dovuto cedere il passo ad una coalizione liberal-democratica coordinata da Donald Tusk (ne ha scritto l’Agenzia AGIleggi), tutti i commentatori hanno segnalato soprattutto la vittoria dell’europeismo incarnato, appunto, da Tusk (come indicato dalla Stampa: leggi). Durante gli anni di egemonia del PiS la Polonia si era infatti distinta per un acceso nazionalismo, mettendo molteplici volte in questione i principi dello stato di diritto e la fedeltà alle Istituzioni europee. Ma oltre all’UE, bersaglio del PiS era il “nemico storico” rappresentato dalla Germania (il livello raggiunto dalla polemica anti-tedesca è stato ben evidenziato in un articolo di Deutsche Welleleggi). La buona intesa di Tusk con Scholz e Macron, che ha ravvivato il cosiddetto Triangolo di Weimar, ha contribuito a rasserenare non poco i rapporti tra Varsavia e Berlino, come indicato anche dal Guardianleggi. Ma evidentemente non tutta la ruggine tra le due capitali è stata rimossa, come evidenzia la rinuncia tanto del Primo ministro polacco che del Cancelliere tedesco a partecipare ad una cerimonia cui entrambi erano attesi, come scritto da Euractivleggi.

 

Tra i tanti paesi dei quali appare oggi difficile comprendere la collocazione geopolitica figura senz’altro l’Armenia. Durante l’annosa contrapposizione con l’Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabach, Erevan sembrava godere di un deciso sostegno da parte della Russia. Nella primavera del 2018, il neo-eletto Primo ministro Nikol Pashinyan aveva dichiarato che “la cooperazione militare con la Russia è la principale garanzia per la sicurezza dell’Armenia” (come riportato dal sito Begloballeggi). Con il tempo tuttavia i rapporti tra l’ex repubblica sovietica e Mosca si sono deteriorati, fino all’epilogo del ritiro del contingente russo che avrebbe dovuto svolgere funzioni di peace keeping nel Nagorno-Karabach, ritiro che ha rappresentato il preludio della definitiva vittoria azera (ne ha scritto Formiche.netleggi). Nikol Pashinyan, ancora alla guida del paese anche dopo le sconfitte militari (“Primo ministro di Teflon”, lo ha definito Radio Free Europeleggi), sta ora puntando su un riavvicinamento con la UE, con la quale in questo inizio di settembre ha avviato colloqui per una liberalizzazione dei visti (come riferito dal sito – ucraino –  The Gazeleggi).

 

L’etimologia è spesso materia riservata ai linguisti e a (pochi) appassionati. Può nondimeno essere utile per disvelare i motivi politici di alcune scelte lessicali. È il caso della decisione del Parlamento della regione separatista moldava che ha vietato per legge l’uso del termine “Transnistria” per identificare l’entità statuale, preferendovi “Pridnestrovie” (come riferito da Euractivleggi). Transnistria è il nome con il quale il territorio autoproclamatosi indipendente è designato nella comunità internazionale, che non ne riconosce tuttavia l’indipendenza (riassume, semplificando, la storia di questa regione il sito Geopopleggi). Il prefisso “trans-” (Transnistria → di là dal Dnester) è evidentemente di matrice latina, come latino è il ceppo del moldavo/rumeno, lingua ufficiale della Moldova, che rivendica la sovranità sulla Transnistria. Le autorità russofone della capitale regionale Tiraspol, che preconizzano addirittura un’annessione alla Russia (ecco cosa ha scritto Wired nel febbraio scorso: leggi), preferiscono ovviamente il nome Pridnestrovie (→ presso il Dnester), con il prefisso “pri-”, proprio delle lingue slave. Cerca di far chiarezza una nota pubblicata dal Comitato permanente per i nomi geografici dell’amministrazione britannica: leggi.