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Rassegna stampa di testate nazionali ed internazionali a cura di Paolo Gozzi - 3/11/24

 
Nel 2013, sono stati non più di 80 i treni merci che hanno trasportato prodotti cinesi destinati all’Europa lungo il cosiddetto Middle Corridor (lo descrive il sito dedicato: leggi).
Nel 2019 tale numero risultava più che centuplicato, con 8.225 convogli che hanno percorso migliaia di chilometri attraverso l’Asia centrale partendo da una cinquantina di città cinesi per raggiungere una quarantina di destinazioni europee, secondo dati citati in una scheda sul sito Port Economics, Management and Policyleggi.
Queste cifre, sebbene ormai datate, dimostrano l’importanza che rivestono i “corridoi” terrestri per i flussi commerciali cinesi da e (soprattutto) verso l’Europa.
A lungo, il principale di tali corridoi era quello settentrionale, basato sull’infrastruttura della Transiberiana. L’aggressione russa all’Ucraina ha tuttavia inciso brutalmente sul suo utilizzo, come hanno fatto gli attacchi degli Houthi nei confronti del transito marittimo verso il Mar Rosso, altra grande via di comunicazione tra Cina ed Europa.
A beneficiare della situazione sono palesemente i paesi dell’Asia centrale che hanno colto l’occasione per destinare risorse (anche con finanziamenti cinesi) al potenziamento del Middle Corridor – descrive molto bene le dinamiche in atto un articolo sul sito del South China Morning Post (con sede ad Hong Kong): leggi.
L’Unione europea sembra consapevole dell’importanza di questo rimodellamento delle direttrici logistiche, e ad inizio ottobre ha organizzato una conferenza in Turkmenistan volta alla creazione di una “piattaforma di coordinamento” (la Delegazione dell’UE ha segnalato l’evento: leggi). Di certo ha analoga consapevolezza la Turchia, che a sua volta ha avviato contatti con lo stesso Turkmenistan, come riferito sul sito News Central Asia (leggi – in calce all’articolo molti link utili per approfondire l’argomento).
 
Come nel panorama canoro c’è sempre un qualche “tormentone” estivo di cui sembra impossibile sbarazzarsi, così nel panorama della politica europea si riaffaccia costantemente, dal referendum britannico del 2016 in poi, il tema della Brexit.
Già nel 2017 Lavoce.info titolava proprio “il tormentone infinito” un sarcastico articolo (leggi) che evidenziava molti dei problemi che effettivamente si sarebbero presentati negli anni successivi.
Col passare del tempo tuttavia, quei problemi appaiono ancora maggiori e più complessi, come se la Brexit avesse inciso non solo sull’economia del Regno Unito e dell’Europa, ma anche sugli umori dei cittadini. In un lungo, interessante articolo pubblicato alcuni mesi fa sul sito del californiano Institute for Youth in Policy si può leggere: “Sebbene i numeri raccontino una storia, il vero racconto risiede nella fiammata di populismo che la Brexit ha innescato – una fiammata che ora sta condizionando le democrazie in tutto il mondo”. Anche se non ne fanno il punto più importante del loro programma elettorale, ormai molti partiti sovranisti europei evocano – coerentemente – un’uscita del proprio paese dall’UE. Lo aveva fatto già nel 2017 Marine Le Pen (come riferito dall’ANSAleggi), seguita nel 2020 da Matteo Salvini (che in parte si corregge, come risulta dal Tempoleggi) e nel 2021 da Alternative für Deutschland (leggidal sito di Deutsche Welle).
Nel frattempo però, proprio dove tutto è cominciato si cerca di correre ai ripari. Lo racconta Massimo Nava in un bell’articolo sul sito del CESPI osservando che “il neo primo ministro britannico Keir Starmer, in visita a Bruxelles, ha fatto chiaramente intendere di volersi impegnare in iniziative che rafforzino i legami fra Londra e la Ue”: leggi.
 
La fase preparatoria della riunione dei BRICS+ tenutasi a Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre, è stata in genere seguita con un certo distacco dalla stampa e dai mezzi di comunicazione occidentali, ma la situazione è cambiata radicalmente durante e soprattutto dopo il vertice: osservatori ed analisti non hanno lesinato commenti ed approfondimenti.
Che nel “nord globale” la politica tenda ancora a guardare con distacco a questa organizzazione traspare da un’esortazione contenuta nel sottotitolo di un articolo sul vertice apparso sul sito dell’ISPI: “L’Occidente farebbe bene a prestare attenzione” (leggi).
Una linea analoga sembra ispirare anche il commento pubblicato da Vatican News: “il mondo occidentale scopre di doversi confrontare con un’alleanza che riunisce oltre la metà della popolazione del pianeta” (leggi). Interessante osservare come le disamine dei risultati della conferenza di Kazan diventino molto più concrete quando a formularle sono organi di stampa dei paesi coinvolti: Russian News fa riferimento ai progetti in materia economico-finanziaria (leggi), China Radio International insiste sulla riforma della governance globale (leggi) mentre The Indian Express non nasconde le potenziali criticità di un blocco tanto eterogeneo (leggi).
Con maggiore distacco descrive il panorama generale Fanpage, che intervista tra l’altro il sinologo Alexey Maslov, componente delle delegazioni russe ai negoziati con la Cina, ed che azzarda un titolo da “eterogenesi dei fini”: Perché la strana amicizia tra Russia e Cina può favorire la pace in Ucraina – (leggi).
 
Fino a non molti mesi fa, la maggioranza dei commenti circa l’efficacia delle sanzioni applicate alla Russia erano piuttosto negativi: Panorama, ad esempio, citando il Financial Times, titolava nel febbraio scorso: “Ormai è chiaro: le sanzioni contro la Russia non funzionano” (leggi).
I pareri sembrano essere progressivamente mutati con il passare del tempo. Soprattutto dall’estate in poi si sono fatte più numerose le analisi che esprimevano dubbi sulla solidità della situazione economica globale della Federazione russa.
Segnatamente, il 1° luglio scorso è apparso sul sito Carnegie Politika del Carnegie Russia Eurasia Center un articolo che illustrava le premesse di un pericoloso surriscaldamento dell’economia (leggi).
Poche settimane dopo, il think-tank New Eastern Europe elencava “quattro segnali” di come l’apparente salute economica fosse in realtà molto dubbia (leggi).
La decisione assunta pochi giorni fa dalla Banca centrale di Mosca di portare al 21% il tasso di riferimento in presenza di un’inflazione prossima al 10% (come riferito da Milano Finanzaleggi) sembra ora confermare dubbi e perplessità degli esperti.
La stessa Governatrice della Banca Elvira Nabiullina, in un’intervista riportata dalla Reuters (leggi) ha fatto riferimento al surriscaldamento e alla difficoltà di contenere la dinamica dei prezzi.
 
Quasi due mesi sono passati dalla presentazione del rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione europea (la registrazione della conferenza stampa del 9 settembre è disponibile sul sito Euoropavedi). Dopo le valutazioni di carattere generale più o meno immediate (per tutte, quella molto lucida del Financial Timesleggi) molte analisi relative ad aspetti specifici del rapporto sono state formulate da parte di ambienti interessati. Di industria della difesa ha ad esempio scritto l’Atlantic Council (leggi), mentre di decarbonizzazione ha ragionato Carbon Market Watch (leggi).
Limpidissime considerazioni di natura più genuinamente politica sono presentate invece in un articolo dell’ambasciatore Giampiero Massolo pubblicato da Le Grand Continentleggi.