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Rassegna stampa di testate nazionali ed internazionali a cura di Paolo Gozzi - 13/10/24

Molto è stato scritto nel 2023 a proposito del colpo di stato in Niger, che ha di fatto portato alla cacciata dei francesi (o almeno del contingente militare) da un paese in cui Parigi aveva saldissime radici postcoloniali, lasciando campo libero all’influenza di Mosca (il resoconto in un articolo di Euronewsleggi).
Un’attenzione inferiore o di certo meno preoccupata era stata riservata invece al golpe attuato solo poche settimane più tardi a Libreville, nel Gabon. Come aveva scritto il Post: “Ci sono molti elementi che lo distinguono dal recente colpo di stato in Niger e dagli altri nella regione del Sahel: c’entra la Francia, tra le altre cose” (leggi).
Del coinvolgimento francese ha scritto, nell’anniversario del putsch, anche la rivista Africa (leggi) che sottolinea come “la Francia (…) mantiene buoni rapporti con il governo di transizione, con cui cerca di rimanere partner strategico”.
Questo atteggiamento di Parigi (sostenuto anche dagli Stati Uniti) è molto probabilmente dovuto alle esplicite mire che Cina e Russia hanno dimostrato nei confronti del Gabon. La Cina aspira ad ottenere nuove basi militari sull’Atlantico (interessante un articolo di Pagine Esteri dello scorso febbraio: leggi), mentre la Russia punta ad aumentare la propria presenza militare sul Continente (ne ha scritto il sito Strade – leggi – e ne è esempio la vendita di blindati russi proprio al Gabon, come riferito da Notizie Geopoliticheleggi).
Su questo sfondo emerge ora da un’inchiesta del New York Times (leggi) che molte navi (in particolare petroliere) riconducibili alla Federazione russa sono state iscritte nei registri navali del Gabon, “evidenziando come Vladimir V. Putin stia costruendo un’economia che punta ad eludere le sanzioni occidentali”.

 

Il 25 settembre scorso l’Aspen Institute Italia ha organizzato una tavola rotonda internazionale dedicata a “Una nuova Europa e le sfide dell’allargamento”. Il breve testo di presentazione dell’evento (leggi) ha il pregio di illustrare con chiarezza il dilemma che informa tali sfide: “A confronto ci sono due metodi diversi: da una parte chi sostiene l’approccio geopolitico, un “all in” senza se e senza ma; dall’altra chi privilegia un proseguimento del processo di integrazione basato sul “merito”, ovvero la certificazione che i Paesi richiedenti riescano a soddisfare i requisiti necessari per l’adesione”.
Al solito “il diavolo sta nei dettagli” e una tale affermazione di principio viene presto a scontrarsi con una realtà assai complicata. L’esempio più evidente è quello della Serbia e del Kosovo: nel caso di un’adesione simultanea, l’UE “importerebbe” un conflitto dagli esiti imprevedibili; se invece le adesioni fossero separate, il primo ad entrare potrebbe ostacolare in tutti i modi l’accesso dell’altro.
Per intanto i motivi (e i pretesti) di scontro tra Belgrado e Pristina sono una costante, con l’inevitabile, reciproco scambio di accuse. In rete, tali accuse assumono carattere assai deciso, da una parte e dall’altra: si veda per esempio quanto scrivono un certo “Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia” (leggi) e l’agenzia Kosovapress (leggi).
Al netto di queste intemperanze nazionaliste, va segnalato che il Kosovo in particolare sta attuando da diversi mesi una strategia del “fatto compiuto”, non certo positiva per le prospettive di accordo con Belgrado (lo ha sottolineato un articolo dell’Indipendenteleggi).
Nell’attuale tesa situazione internazionale, quella tra Serbia e Kosovo appare ancora come una piccola diatriba regionale. Su di essa tuttavia incide la grande incertezza generata da due guerre in corso e dall’attesa per il voto americano, come scrive su Balkan Insight (leggi) l’ex diplomatico britannico Ian Bancroft, già operativo in Kosovo nel quadro della missione EULEX.

 

Dal 4 al 12 novembre prossimo, proprio a cavallo del voto presidenziale americano, avranno luogo, presso il Parlamento europeo, le audizioni dei Commissari designati da Ursula von der Leyen (modalità, procedure e tempi sono ben riassunti da Euractiv (leggi).
Raffaele Fitto, designato a ricoprire il ruolo di Commissario alla Coesione e alle Riforme, sarà audito dalla commissione parlamentare per gli Affari regionali. Per settimane la stampa italiana ha disquisito sulle possibilità che Fitto venisse designato anche quale vice-presidente della Commissione europea (molto scettico era ad esempio un articolo di Europa Today del 5 settembre: leggi), mentre tormentato è stato il chiarimento circa le competenze tematiche associate alla funzione (il 3 settembre Avvenire riferiva un retroscena secondo il quale “Fitto […]sarà responsabile dell’economia e degli aiuti alla ricostruzione del Covid”: leggi).
La scelta di affidare all’ex Ministro italiano al PNRR la responsabilità per la coesione e le riforme non semplificherà certo l’audizione parlamentare. Sul tema della coesione in particolare Raffaele Fitto dovrà dimostrare di essere pronto a passare dalla dimensione nazionale a quella comunitaria, facendo chiarezza – per quanto possibile – sulle contraddizioni tra i punti di vista di un Governo che sospende Schengen e parla di difesa dei confini e una linea della Commissione che propone un “regolamento sulla facilitazione delle soluzioni transfrontaliere” “per aiutare gli Stati membri ad eliminare gli ostacoli che incidono sulla vita quotidiana dei 150 milioni di cittadini delle regioni transfrontaliere europee” (la proposta è disponibile su Europaleggi). Quanto importante sia ormai diventato il tema della gestione dei confini interni dell’Unione è illustrato in un bell’articolo pubblicato sul sito del CESPIleggi.

 
Se la nomina a Commissario sarà avallata dal Parlamento europeo, uno dei primi corposi dossier ad approdare sulla scrivania di Raffaele Fitto sarà quello relativo alla preparazione del prossimo bilancio europeo. Sebbene il settennato di riferimento sia quello 2028-2034 (il bilancio attualmente in fase di esecuzione copre il periodo 2021-2027: una presentazione infografica è sul sito del Consiglioleggi), la Commissione ha già avviato il dibattito preliminare, puntando ad una profonda ristrutturazione del bilancio stesso, principale strumento contabile dell’Unione (ne ha scritto il 5 ottobre il supplemento economico del Corriere della Seraleggi).
Per Fitto, tra le cui competenze figura – come indicato sopra – la politica di coesione, l’impegno sarà severo in quanto secondo le intenzioni di Ursula von der Leyen l’intera struttura del bilancio dovrebbe venir semplificata e rimodulata, con significativi cambiamenti anche per la gestione degli ingenti fondi per la coesione.
L’ipotesi si baserebbe sulla definizione di tre “pilastri”: “un Fondo europeo per la competitività (ECF) per i finanziamenti a livello UE, un Approccio finanziario strategico per l’azione esterna e piani nazionali unici per gli Stati membri in sostituzione delle spese per coesione, agricoltura, pesca e sanità” (così scrive Euractivleggi nell’originale inglese; la versione in italiano – leggi – non è sempre fedele).
Che i progetti di cambiamento abbiano ormai una certa concretezza è indicato anche dal fatto che già nel luglio scorso la Presidente della Commissione aveva annunciato la possibile creazione di un Fondo europeo per la competitività (ne ha scritto la Reuters: leggi).   
 
 
 
Di colonialismo, anti-colonialismo e post-colonialismo si è assai discusso nel secolo scorso, quando l’accesso all’indipendenza di molte colonie ha toccato l’apice (nel solo anno 1960 e solo in Africa ben 17 ex-colonie sono diventate Stati sovrani – sul sito dell’Università di Padova si trova un’analisi ricca di informazioni: leggi). Il tema non è tuttavia mai stato accantonato in quanto le conseguenze perniciose del colonialismo sono ancora ben presenti in tutti i paesi che ne sono stati vittime.
Non è un caso che l’accusa di perseguire mire neo-coloniali continui ad essere rivolta alle ex-metropoli ad ogni occasione di dissenso ed usata in funzione anti-occidentale da paesi come Cina e Russia (come scrive un articolo di Valigia Blu: “la strategia russa […] si basa sul tentativo di spezzare i legami tra l’Africa e l’Occidente, facendo leva sulla retorica anticoloniale” – leggi).
Sebbene spesso “dimenticate” esistono tuttavia ancora territori soggetti alla sovranità di una madrepatria lontana, per i quali non si può certo parlare di “retorica anticoloniale”. Se la Francia è confrontata ormai da mesi a manifestazioni anche violente e con risvolti più o meno indipendentisti da Mayotte alla Martinica (ne ha scritto France24leggi), il Regno Unito cerca di gestire le residue colonie secondo i propri obiettivi strategici: se da un lato ha ceduto alcuni isolotti alle Isole Mauritius in cambio del mantenimento di una base militare a Diego Garcia, dall’altro il nuovo governo laburista si è affrettato a dichiarare che “lo status delle Isole Falkland, di Gibilterra e degli altri Territori d’Oltremare britannici non è negoziabile”, come riferito dalla BBCleggi.