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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 9/02/25

 
Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
 
Di grande attualità anche per la risonanza mediatica del caso Almasri e della polemica giuridico-politica scatenatasi a seguito dell’arresto ed immediato rilascio del generale libico accusato di violenze e stupri su migranti, la conferenza di Dialoghi europei del 14 febbraio prossimo vedrà il contributo di due illustri esperti italiani in materia di rapporti con l’Africa e cooperazione allo sviluppo.
Andrea Stocchiero ha recentemente introdotto (leggi il suo contributo) e coordinato il forum del CeSPI intitolato “Il Piano Mattei, opportunità, ambizioni e elementi di dibattito”.
Sempre sul rinnovato impegno della diplomazia italiana in Africa, Giovanni Carbone, dell’ISPI, ha curato nel 2023 un dossier dal titolo “L’Italia in Africa: ragioni, progetti e interrogativi sul possibile rilancio” (leggi) e continua a seguire regolarmente la materia.
Il Piano Mattei, ovvero il decreto-legge (convertito nella legge 2/2024) che ha così denominato il “Piano strategico Italia-Africa” varato dal Governo, è disponibile sul sito della Camera dei Deputatileggi.
Anche a livello europeo è stata messa a punto una strategia per il rilancio della cooperazione internazionale focalizzata in particolare sulle regioni e i paesi meno sviluppati. Denominata Global gateway tale strategia prevede uno spettro di iniziative più ampio e in parte diverso da quello del Piano Mattei, ma vari settori d’intervento sono analoghi. Una descrizione del Global gateway è sul sito della Commissione (leggi).
Un confronto tra i due strumenti è stato da poco proposto dall’Area Politiche Internazionali e Europee della CGIL (leggi).
 
Nei vent’anni che sono seguiti al famoso vertice di Salonicco (2003) che ha sancito la “prospettiva europea” dei Balcani occidentali”, si sono definite procedure ed avviati negoziati, ma senza risultati concreti. Probabilmente tanto gli Stati membri quanto i paesi candidati non percepivano l’adesione come qualcosa di necessario. Conferma una tale ipotesi quanto detto da Roberto Antonione al recente incontro di Gorizia con Dimitrij Rupel (di cui ha scritto il Piccololeggi): “da parte dei Paesi dell’Ue, non c’è stata la volontà di procedere” nella direzione dell’allargamento. Dopotutto, pur nel permanere di uno stallo di fatto del processo, tutti i paesi interessati hanno registrato evoluzioni positive: lo illustra un commendevole studio della Bocconi (leggi), ripreso da East Journal che ne propone una traduzione (automatica?) in italiano (leggi). I sommovimenti politici che stanno terremotando l’ordine mondiale sembra stiano rovesciando tale percezione di mancanza di impellenza: come ha sottolineato il Primo ministro croato Andrej Plenković durante un forum organizzato da Euronews a Davos “da molto tempo non si vedeva un atteggiamento così positivo nei confronti dell’ampliamento” da parte dei capi di Stato e di governo (leggi). Tale atteggiamento è ovviamente originato dal fatto che oggi tra i paesi candidati figurano anche l’Ucraina e la Moldova, che vedono nell’UE una difesa dall’aggressività russa, e per le quali Bruxelles sarebbe pronta a procedere speditamente, come ha scritto Politico.euleggi. Per l’Unione europea infatti, la linea politica adottata con riguardo all’Ucraina (in particolare) sarà importante anche per definire i rapporti con gli Stati Uniti di Donald Trump: è la tesi sostenuta in uno stimolante articolo sul sito del Carnegie Endowment for International Peace (leggi).
 
Il paese che da più lungo tempo ha lo statuto di “candidato all’adesione” è la Turchia, riconosciuta tale nel 1999 dopo che aveva presentato domanda nel 1987. Dal 2018 tuttavia ogni negoziato è interrotto (un riassunto dei rapporti tra Ankara e Bruxelles è proposto dal sito della Commissioneleggi; un esame più particolareggiato si trova sul sito dell’Università del Lussemburgoleggi), anche se periodicamente emergono (improbabili) ipotesi di rilancio dei rapporti: nel dicembre scorso ad esempio il Ministro degli esteri Hakan Fidan “ha sottolineato la necessità che l’UE riconsideri il suo approccio al processo di adesione della Turchia”, come riferito da Daily Sabah (leggi). Ma la Turchia ha ormai assunto un ruolo autonomo di media potenza regionale che mal si attaglierebbe ad uno Stato membro. Come sottolinea il sito della Fondazione Med-Or (presieduta da Marco Minniti): “la Turchia di Erdoğan […] non sembra il Paese che Bruxelles aveva immaginato come futuro membro dell’Unione” (leggi). Oggi, in particolare dopo il coinvolgimento vincente in Nagorno Karabakh e più recentemente in Siria, “il Caucaso è per la Turchia uno dei tre assi di espansione assieme al Medio Oriente e ai Balcani” come si può leggerein un’analisi dello IARI. Se qualche nuova sfida è alle viste per Recep Tayyip Erdoğan, non proviene certo dalle Istituzioni europee, ma dal nuovo Presidente americano. Un illuminante articolo del Guardian ricorda come il primo mandato di Donald Trump “ha visto relazioni burrascose tra Turchia e Stati Uniti” – “eppure, Erdoğan è stato uno dei leader mondiali che ha accolto con più entusiasmo la seconda vittoria elettorale di Trump, mentre Trump ha descritto l’autoritario leader turco come un amico” (leggi).
 
Dopo una presenza ininterrotta che risale al periodo coloniale (avviato all’alba del ‘900 – leggi sulla Britannica), la Francia ha abbandonato la sua ultima base militare in Ciad a fine gennaio 2025. Come ha ricordato France 24 (leggi), la base di Kossei era “l’ultima roccaforte nella più ampia regione del Sahel dopo il ritiro forzato delle truppe francesi da Mali, Burkina Faso e Niger a seguito di colpi di stato militari”. Se la decisione del Ciad di estromettere dal paese i militari francesi era giunta alquanto inattesa nel novembre 2024 (di “sorpresa” aveva parlato l’Agenzia Fidesleggi), già “nell’estate del 2024, erano circolate indiscrezioni su un piano di riduzione dei contingenti militari francesi a circa 600 unità in tutto il continente ad eccezione del Gibuti”, come racconta una documentata analisi di Geopolitica.infoleggi. In realtà, non sembra che Parigi sia rimasta eccessivamente contrariata dalla mossa di N’Djamena e che anzi il ritiro dal paese sahariano si inquadri tutto sommato in una “riconfigurazione complessiva della proiezione strategica” francese, come afferma Luca Raineri, specialista di Africa occidentale alla Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa, in un interessantissimo podcast sul sito di Nigrizia (ascolta; il passo citato è al minuto 9:50). Il ritiro francese lascia ovviamente spazio ad altri attori, in primo luogo a quella Russia che ha già istigato numerosi colpi di stato nella regione (leggi un’analisi dell’ottobre 2024 di Opinio Juris). Ma le conseguenze più immediate rischiano di manifestarsi nel Sudan stravolto dalla guerra civile, dove l’intervento diretto ed indiretto del confinante Ciad può esacerbare il conflitto già caratterizzato da radicati odi razziali: tratta il tema con dovizia di particolari una ricerca dell’ISPI – leggi.
 
 
In Europa e in Occidente in generale, le macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale hanno rappresentato un monito che a lungo ha motivato le forze democratiche a stendere un cordone sanitario nei confronti di movimenti e partiti che si richiamassero ad idee e valori del nazismo e del fascismo. Si sono in tal modo poste le premesse per il confronto e lo scontro tra destra conservatrice e sinistra progressista all’interno di un quadro costituzionale legalitario. A partire dalla caduta del Muro, la “fine della storia” decretata da Francis Fukuyama (leggi la presentazione del libro sul sito dell’editore italiano UTET) ha cominciato a mettere in dubbio anche i concetti di destra e sinistra. In Italia fu Norberto Bobbio a riaffermarne la centralità (leggi la presentazione della ristampa di “Destra e sinistra” sul sito della Donzelli), ma ben presto a prendere il sopravvento sono state le voci (o le urla) dei cantori del “non […] di destra né di sinistra” (leggi sul blog di Beppe Grillo del 2013). Che invece e nonostante tutto sia ancora possibile distinguere, in un civile confronto, posizioni di destra e di sinistra è ben illustrato dalla recente proposta di una Bussola per la competitività (leggi sul sito della Rappresentanza della Commissione in Italia) della Presidente Ursula von der Leyen (democristiana della CDU) e dalle prime reazioni della Confederazione europea dei sindacati(leggi) e della Fondazione finanza etica (leggi). La Bussola rimane comunque un importante documento d’indirizzo (il testo completo della Comunicazione è disponibile su Europa.euleggi): il confronto democratico all’interno delle Istituzioni europee nel momento della definizione dei pertinenti testi normativi potrà migliorare e rafforzare le misure che verranno adottate.
 
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