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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 6/10/24

Il tema dei BRICS, oggetto della conferenza del prof. Franco Bruni di mercoledì 9 ottobre, annunciata qui sopra, è stato più volte evocato nei suggerimenti di lettura di questa nostra rassegna stampa.
Non riproporremo quindi le segnalazioni di articoli ed analisi già indicati in passato (le vecchie rassegne sono disponibili nel sito di Dialoghi europei – accedi), ma ci limitiamo a segnalare un breve articolo sull’evoluzione dei BRICS vista dall’ex capo ricercatore di Goldman Sachs Jim O’Neill, che dell’acronimo è stato l’ideatore (sul sito ETFStream: leggi), e una ben più corposa intervista dell’Agenzia TASS con Yuri Ushakov, consigliere economico di Putin, pubblicata in italiano sul sito dell’Istituto Italia BRICS (leggi).
L’intervista espone ovviamente una posizione “di parte” (come di parte à il sito che la ospita), ma proprio per questo il lettore avvertito saprà ricavarne indicazioni assai interessanti.
Sebbene il prof. Franco Bruni non necessiti presentazione, si segnalano due suoi recenti articoli apparsi sul Foglio (leggi) e sul sito dell’ISPI, l’Istituto che attualmente dirige (leggi).

Della decisione del Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell'Unione europea – le funzioni sono descritte sul sito del Consiglio: leggi) favorevole all’apertura del tavolo negoziale per l’adesione con l’Albania (ma non con la Macedonia del Nord) ha riferito il Piccolo del 29 settembre con una puntuale corrispondenza di Stefano Giantin (testo non disponibile in libera lettura online). Anche l’Osservatorio Balcani Caucaso ha analizzato la situazione (leggi).
Con comprensibile orgoglio nazionale, Koha, uno dei principali quotidiani albanesi, ha parlato (sul sito tradotto in inglese) di “svolta storica nel percorso dell’Albania verso l’UE” (leggi).
Si tratta indubbiamente di un successo politico dell’amministrazione Rama, dopo che la decisione sull’avvio dei negoziati era di fatto bloccata dalla Grecia, sullo sfondo di una disputa bilaterale riguardante il destino di un politico appartenente alla minoranza greca d’Albania, incarcerato per presunta compravendita di voti.
Il caso era stato “risolto” con una procedura che, pur con tutte le differenze, ricorda quella seguita per fare uscire dalle carceri ungheresi Ilaria Salis: Fredi Beleri, sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë (e con doppia cittadinanza albanese ed ellenica), è stato eletto deputato europeo nelle liste del partito conservatore greco del premier Kyriakos Mitsotakis e conseguentemente scarcerato da Tirana (racconta la vicenda EUNews: leggi).
La scarcerazione è stata autorizzata dalle autorità giudiziarie albanesi solo ad
inizio settembre (come riferito dal sito di To Vima: leggi), ma evidentemente la decisione è stata sufficiente per rimuovere il veto di Atene all’avvio dei negoziati.

 

Se a Tirana si è festeggiato per la decisione del Coreper, a Skopje il clima è stato ben diverso.
Sia il premier Mickoski, sia la Presidente Siljanovska-Davkova, entrambi esponenti del partito conservatore, hanno usato parole molto dure nei confronti delle Istituzioni di Bruxelles (come riferito da Euronews: leggi) e della Bulgaria, che ha bloccato l’avvio dei negoziati a causa di un’irrisolta disputa sull’identità nazionale che avvelena da tempo i rapporti tra i due paesi (disputa illustrata sul sito dell’Osservatorio sul Mediterraneo: leggi).
Anche il Presidente ungherese Victor Orbán (titolare altresì della presidenza semestrale del Consiglio dell’UE) ha espresso disappunto, nel corso di una visita ufficiale a Skopje, per la mancata apertura del tavolo negoziale. A suo avviso, “l’Unione Europea ha perso il proprio dinamismo economico, e l’allargamento è uno dei mezzi più efficaci per ripristinarlo” (come riportato dal sito Hungarian Conservative: leggi).

 

Con l’improvviso aumento degli sbarchi sulle coste italiane in questo inizio di autunno (come segnalato dall’ANSA – leggi – e dalla Stampa – leggi), il tema dei migranti ritorna tra le notizie proposte da molti mezzi d’informazione. Essendo politicizzato ormai da molti anni, l’argomento finisce inevitabilmente per essere trattato secondo schemi “partigiani”.
Può pertanto essere utile esaminare le cifre e le tendenze reali del fenomeno basandosi su dati oggettivi, come quelli presentati recentemente dall’ISPI - Istituto per gli studi di politica internazionale, che forniscono un quadro preciso della situazione (leggi).
La scala temporale dei grafici presentati, aggiornati praticamente al presente, ha il pregio di ricordarci come quello migratorio sia ormai un problema presente da talmente tanti anni da non potersi più configurare come una “emergenza”. Ciò nonostante i paesi maggiormente interessati dagli arrivi di migranti continuano ad adottare misure di carattere emergenziale, limitandosi sovente ad annunciare programmi strutturali capaci di modificare drasticamente lo stato delle cose (ne è un esempio l’approccio italiano, evidenziato dalla politica attuata nei confronti della Tunisia, di cui parla un articolo di Avvenire del luglio scorso: leggi).
Anche per l’UE trovare il modo di agire efficacemente sembra problematico. Lo conferma una relazione della Corte dei Conti europea sulla gestione del Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione europea per l’Africa (EUTF), che critica il “sostegno non sufficientemente mirato” (leggi). Ha commentato la relazione EUNews: leggi.
Parallelamente, in altri contesti, flussi molto particolari verrebbero non solo tollerati, ma addirittura incentivati. È quanto afferma il quotidiano israeliano Haaretz in un articolo (riservato agli abbonati) ripreso dalla rivista Africa (leggi), secondo il quale l’accoglienza di migranti in Israele sarebbe finalizzata al reclutamento di soldati.

 
In genere tutti i governi cercano di far affluire investimenti esteri a sostegno dell’economia nazionale e il volume dei cosiddetti FDI (Foreign Direct Investments) denota di fatto il livello di attrattività di un paese (il Ministero degli esteri italiano si è dotato di un apposito Ufficio “Attrazione Investimenti Diretti Esteri” – leggi). Per anni, le capitali occidentali hanno fatto a gara per cercare di assicurarsi investimenti cinesi, che Pechino era ben disposta ad effettuare, sull’onda di una crescita economica a doppia cifra. Ma dal 2017 in poi le autorità cinesi hanno decretato una stretta degli investimenti all’estero, per favorire la crescita interna (illustra molto bene il quadro un articolo dell’ISPI del 2023: leggi). Ad analizzare con attenzione i dati, si constata tuttavia che la riduzione quantitativa dei FDI cinesi è bilanciata dalla loro “qualità”, vale a dire l’attenzione al settore verso il quale vengono indirizzate le risorse, come sottolinea un articolo di Formicheleggi. Questa selettività cela verosimilmente valutazioni politiche, con conseguenti rischi per il paese che accoglie gli investimenti cinesi. Alcuni di tali rischi sono stati analizzati da uno studio commissionato nel 2023 dal Parlamento europeo e focalizzato sulle infrastrutture marittime europee (leggi il sommario). Assume quindi particolare concretezza il quesito posto a titolo di un articolo appena pubblicato sul sito della BBC, che si chiede: “Gli investimenti cinesi beneficiano o danneggiano l’Irlanda?”. Questo paese è spesso citato ad esempio per la capacità di attrarre investimenti di grandi gruppi internazionali – in particolare statunitensi – sul suo territorio. Da qualche anno tuttavia l’Irlanda ospita anche un numero crescente di grandi aziende cinesi. Il Governo è consapevole dei rischi associati a questa evoluzione, ma, secondo quanto riporta l’articolo citato, non ritiene che un de-risking (riduzione del rischio) debba corrispondere ad un de-coupling(rescissione dei rapporti).
 
Foreign Direct Investments costituiscono un interessante parametro anche per valutare alcune scelte macroeconomiche – volontarie o imposte dalle circostanze – di singoli paesi.
È il caso della Russia, che a partire dal febbraio 2022 ha dovuto modificare sostanzialmente la destinazione geografica dei propri FDI, come ha documentato il sito specializzato fDiIntelligence – leggi.
Secondo l’articolo, il riorientamento degli investimenti russi verso paesi “amici” (“le aziende russe hanno dirottato (…) i FDI dai paesi OCSE verso i vicini paesi ex sovietici e verso paesi neutrali [sic] come la Cina e gli Emirati Arabi Uniti”), ha permesso a Mosca di annullare o almeno ridurre l’impatto delle sanzioni occidentali.
Su questo aspetto (la riduzione delle conseguenze dell’impianto sanzionatorio) solleva molti dubbi un articolo appena apparso sul sito Project Syndicate (leggi) e dal titolo eloquente: “L’economia di guerra russa ha i giorni contati”. L’autore, l’economista svedese Per Anders Åslund, fornisce una lettura molto poco rosea della situazione economica russa, sostenendo che “l’attuale regime di sanzioni riduce il PIL del 2-3% annuo, condannando la Russia a una quasi-stagnazione”.