In genere tutti i governi cercano di far affluire investimenti esteri a sostegno dell’economia nazionale e il volume dei cosiddetti FDI (
Foreign Direct Investments) denota di fatto il livello di attrattività di un paese (il
Ministero degli esteri italiano si è dotato di un apposito Ufficio “
Attrazione Investimenti Diretti Esteri” –
leggi). Per anni, le capitali occidentali hanno fatto a gara per cercare di assicurarsi investimenti cinesi, che Pechino era ben disposta ad effettuare, sull’onda di una crescita economica a doppia cifra. Ma dal 2017 in poi le autorità cinesi hanno decretato una stretta degli investimenti all’estero, per favorire la crescita interna (illustra molto bene il quadro un articolo dell’
ISPI del 2023:
leggi). Ad analizzare con attenzione i dati, si constata tuttavia che la riduzione quantitativa dei FDI cinesi è bilanciata dalla loro “qualità”, vale a dire l’attenzione al settore verso il quale vengono indirizzate le risorse, come sottolinea un articolo di
Formiche:
leggi. Questa selettività cela verosimilmente valutazioni politiche, con conseguenti rischi per il paese che accoglie gli investimenti cinesi. Alcuni di tali rischi sono stati analizzati da uno studio commissionato nel 2023 dal
Parlamento europeo e focalizzato sulle infrastrutture marittime europee (
leggi il sommario). Assume quindi particolare concretezza il quesito posto a titolo di un articolo appena pubblicato sul sito della
BBC, che si chiede: “
Gli investimenti cinesi beneficiano o danneggiano l’Irlanda?”. Questo paese è spesso citato ad esempio per la capacità di attrarre investimenti di grandi gruppi internazionali – in particolare statunitensi – sul suo territorio. Da qualche anno tuttavia l’Irlanda ospita anche un numero crescente di grandi aziende cinesi. Il Governo è consapevole dei rischi associati a questa evoluzione, ma, secondo quanto riporta l’articolo citato, non ritiene che un
de-risking (riduzione del rischio) debba corrispondere ad un
de-coupling(rescissione dei rapporti).