Come ha riferito in quei giorni l’ANSA (leggi), a conclusione del vertice UE-Balcani occidentali (WB6) dello scorso dicembre, i 27 Stati membri avevano chiesto, nella cosiddetta “Dichiarazione di Bruxelles”, “l’accelerazione del processo di adesione”. (Il testo della Dichiarazione è disponibile sul sito del Consiglio: leggi.) La formulazione della frase non chiariva a chi fosse rivolta l’esortazione, anche se è lecito immaginare che si trattasse della Commissione e del Parlamento europeo. Giocoforza è tuttavia constatare che a frenare anziché accelerare il processo di adesione sono proprio gli Stati membri. Anche quando si arriva a risultati positivi come il recente via libera all’inizio dei negoziati con la Bosnia-Erzegovina, si deve constatare che il risultato ha richiesto il superamento di “forti perplessità” di varie capitali (come racconta un articolo di SkyTG24: leggi). Eppure, per quanto incerto e claudicante, il percorso riformista che l’UE esige venga attuato nella prospettiva di un’adesione produce risultati apprezzabili. L’ultimo rapporto di Feedom House sullo stato della democrazia nel mondo evidenzia segnali positivi nei WB6, come riferisce East Journal: leggi. Fanno eccezione proprio la Bosnia-Erzegovina, gravata dai problemi interetnici e finora esclusa dai negoziati d’adesione, e la Serbia. Quest’ultima, perno ineludibile della regione, sta scivolando sempre più verso un regime autocratico e un discorso pubblico ricco di ambiguità anti-europee, come ha ben illustrato nel gennaio scorso un articolo del Guardian: leggi.
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