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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 30/06

I vocabolari sono per loro natura “conservatori”, sempre in ritardo rispetto all’evoluzione di una lingua in quanto prima di accogliere un nuovo lemma o un suo nuovo significato aspettano adeguati riscontri nell’uso di parlanti e scriventi. È così che il vocabolario Treccani (ma non è il solo) alla voce “populismo” rimanda al “Movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra l’ultimo quarto del sec. 19° e gli inizî del sec. 20°” e al peronismo sudamericano (leggi), e tralascia qualsiasi riferimento al significato assunto dal termine negli ultimi anni. Azzarda invece una definizione, supportata da interessanti argomentazioni, un supporto didattico del prof. Mattia Zulianello disponibile sul sito dell’Università di Trieste (leggi). Non serve comunque ricorrere a siti accademici per comprendere nei fatti cosa sia diventato il fenomeno populista. Sarebbe sufficiente fare riferimento alla scelta (molto mediatizzata) di Viktor Orbán di adottare quale slogan della presidenza semestrale ungherese del Consiglio dell’UE “Make Europe Great Again”, e ad alcuni aspetti del programma della presidenza stessa (disponibile sul sito istituzionaleleggi), in particolare in materia di immigrazione e tutela del settore agricolo. Balkan Insight ha commentato: “L’Ungheria promette “stabilità” per la sua presidenza dell'UE sotto un’insegna populista” (leggi).

 

Era il 26 luglio dello scorso anno quando una fazione dell’esercito nigerino prese il potere a Niamey, privando della libertà il Presidente Mohamed Bazoum. Molti autorevoli commenti pubblicati a poca distanza dal golpe suggerivano che “nonostante il complesso quadro regionale e internazionale che circonda il Niger, le cause del golpe [andavano] tuttavia ricercate prima di tutto negli equilibri interni al paese” (così un articolo sul sito dell’ISPIleggi). Lo stesso concetto affiorava anche in un’analisi di Standard & Poors (leggi). Quest’ultima, focalizzata sulle potenzialità del paese quale produttore ed esportatore di materie prime, segnalava comunque il rischio che si creasse nella regione un “vuoto securitario”. Come tale vuoto si sia effettivamente creato e come la Russia, riempiendolo, stia lanciando un’operazione per il controllo dell’estrazione di materie prime – in particolare di uranio – è stato evidenziato dalla decisione di revocare le licenze operative alla francese Orano (che “[…] sfrutta le riserve di uranio del paese per alimentare le centrali nucleari d’Oltralpe e di parte d’Europa”), come riferito da Nigrizia (leggi). Tale decisione è evidentemente destinata a diversificare i rapporti commerciali del Niger e “potrebbe includere l’ingresso di nuovi attori come Cina, Russia o Iran, con potenziali ricadute geopolitiche e strategiche”, come sottolinea il sito Focus on Africaleggi.

 

Sempre in materia di concessioni per estrazioni minerarie che rivestono anche un’alta valenza geopolitica, il Piccolo di Trieste del 16 giugno scorso ha pubblicato la puntuale corrispondenza da Belgrado di Stefano Giantin sulla situazione relativa allo sfruttamento di un grande giacimento di litio a nord della capitale (articolo non disponibile in libera lettura in rete). Secondo il sito Balkan Green Energy News, non solo la Serbia sarebbe pronta a riattribuire alla multinazionale Rio Tinto i permessi congelati due anni orsono, ma questa volta “l’Unione Europea [sarebbe] vicina ad un coinvolgimento con riguardo […] alla protezione ambientale” (leggi). L’opposizione al progetto da parte dei movimenti ecologisti è già stata annunciata (ne scrive molto brevemente anche il sito Ground Newsleggi), ma riferendo le parole del Presidente Vučić, anche Euronews dà per scontato il via libera governativo (leggi). Rimangono sullo sfondo, almeno per il momento, le perplessità sui metodi operativi di Rio Tinto, colosso anglo-australiano attivo in tutto il mondo. Nello scorso febbraio il sito di informazioni borsistiche Marketscreener riferiva con un certo rilievo che “Rio Tinto si scontra con gli investitori per le denunce di contaminazione dell'acqua” (leggi).

 

Il “Center for the National Interest”, fondato negli anni ’90 da Richard Nixon, è un prestigioso centro di ricerche politiche statunitense che si definisce “non-partisan non-profit”, ma soprattutto che precisa in epigrafe l’ambizione di essere “la voce dell’America per il realismo strategico”, di privilegiare cioè un approccio pragmatico alla politica estera, senza condizionamenti di natura ideologica. Si può dire che questa dichiarazione d’intenti sia perfettamente rispettata dall’articolo sulla Tunisia pubblicato sul sito del Centro il 21 giugno: leggi. Il testo richiama più volte il ruolo che si trova a svolgere l’Italia nel contesto dei rapporti tra Unione europea, Stati Uniti e il Presidente Kaïs Saïed, segnalando la spregiudicatezza di quest’ultimo, ma anche le ambiguità di Washington. E il modo d’agire poco convenzionale del Presidente tunisino si è notato con lo sgarbo dell’assenza dal vertice del G7 (cui era stato invitato da Giorgia Meloni), seguito dopo pochi giorni dall’istituzione “di una Zona di ricerca e salvataggio in mare [che] era un passo a lungo richiesto dall’Italia”, come riportato dall’Agenzia Nova (leggi). Il momento è politicamente delicato per la Tunisia, in quanto il mandato di Saïed scade il 23 ottobre prossimo, ma ancora non è fissata la data delle elezioni e non c’è certezza nemmeno sulla legge elettorale, come scrive Africa Rivistaleggi.

 

Mancano pochi giorni alle elezioni nel Regno Unito e alle difficoltà politiche del Primo ministro Rishi Sunak si è aggiunto anche lo scandalo delle scommesse sulla data del voto fatta da esponenti conservatori prima che la stessa fosse annunciata pubblicamente (ne ha riferito anche Euronewsleggi). Non sarà tuttavia questo episodio a condizionare il risultato. Il partito di Sunak è in grave difficoltà e i Laburisti avrebbero accumulato un vantaggio insuperabile. Fa notizia tuttavia l’ascesa del nuovo partito di destra Reform UK guidato da Nigel Farage che supererebbe addirittura i Tories (così scrive l’ANSAleggi). Farage è stato il principale artefice della Brexit, anche se a referendum celebrato ammise di aver usato slogan menzogneri a sostegno della propria campagna (ne scrisse l’Independent nel 2016 (leggi). Oggi l’abbandono dell’Unione europea è giudicato negativamente dalla maggioranza dei britannici, ma soprattutto dagli economisti. Il leader laburista Keir Starmer, probabile prossimo Primo ministro, esclude tuttavia una nuova adesione all’UE, al mercato unico o all’unione doganale. Eppure, secondo un articolo del Guardian (leggi) per “gli economisti [è chiaro] che senza l’accesso al mercato unico […] il progresso economico del Regno Unito sarà seriamente ostacolato”.

 
In conclusione di questa rassegna stampa segnaliamo, a corollario della conferenza “Quale Europa dietro l'angolo?”, ultimo evento stagionale di Dialoghi Europei che ha avuto luogo venerdì’ 28 giugno, due contributi pubblici dei relatori, il prof. Fabio Spitaleri e il prof. Luciano Mauro. Del primo, che ha pronunciato una delle laudatio in occasione del conferimento della Laurea honoris causa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e all’ex Presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor, segnaliamo il testo in questione (leggi dal sito dell’Università di Trieste). Del secondo ricordiamo invece un interessante contributo al dibattito sulle potenzialità del PNRR, in un breve saggio pubblicato circa un anno orsono ma di rinnovata attualità alla luce del dibattito in corso nel Paese sull’autonomia differenziata (il documento può essere scaricato dal sito Agecon Searchleggi).