News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 27/11


Le problematica gestione della pandemia e le tensioni razziali in tutto il paese stanno mettendo in difficoltà Donald Trump in vista delle elezioni di novembre. In politica estera i rapporti con Cina e Russia sono complicati, in Medio oriente gli USA sembrano perdere influenza (di certo in Siria) e la “spartizione” della Libia tra Russia e Turchia suggerisce quasi un’irrilevanza americana nell’area. Ma un successo in politica estera sarebbe necessario per favorire la rielezione. La soluzione del problema balcanico per eccellenza, la contrapposizione tra Serbia e Kosovo, sarebbe un’importante medaglia da appuntare sulla giacca del Comandante in Capo. Per cercare di capire la situazione possono aiutare l’articolo di Balkaninsight. (leggi) e quello dell’Osservatorio Balcani Caucaso (leggi)I nazionalismi hanno in genere un rapporto complicato con la storia. Hanno bisogno della storia per creare una narrazione di continuità immutabile tra passato e futuro, ma la storia di cui si servono deve essere semplice e lineare, priva di quella complessità che invece sempre s’intreccia con le vicende umane. Così diventa quasi inevitabile per i leader nazionalisti forzare il senso di eventi passati, per piegali alla loro logica e alla loro propaganda. È quanto ha fatto il Presidente ungherese Orbán commemorando l’anniversario della rivolta contro l’intervento del patto di Varsavia nell’autunno del 1956, come riporta un articolo pubblicato da eastjournalleggi. L’intento di piegare la storia alle esigenze delle proprie posizioni ideologiche appare in tutta la sua chiarezza in un intervento apparso sul sito del centro studi Hungarian Conservative, nel quale si auspica che il nuovo Governo italiano si allei a quelli di Budapest e Varsavia per far trionfare il nazionalismo in Europa (leggi qui la prima parte; la seconda non è stata ancora pubblicata).

 

Se, come suggerito dall’articolo segnalato qui sopra, i conservatori ungheresi vedono l’opportunità per la creazione di una triade nazionalista Italia-Polonia-Ungheria capace di condizionare le politiche comunitarie, sono in particolare Budapest e Varsavia ad essere già ora in una postura assai delicata nei rapporti con Bruxelles. Nel caso della Polonia, che secondo il Freedom House Index del 2020 non può più essere considerata una democrazia “piena” (vedi qui), contenziosi concernenti il rispetto dello stato di diritto sono aperti sia con le Istituzioni dell’Unione europea, sia con il Consiglio d’Europa. La guerra in Ucraina e l’impegno profuso dal Governo polacco per assistere i profughi affluiti sul suo territorio hanno temporaneamente messo una sordina a tali contenziosi, ma i motivi del contendere sussistono. Ne parlano un articolo del portale Orizzonti politici (leggi) e il rapporto della Segretaria generale del Consiglio d’Europa (leggi).

 

Dopo la fine dell’Unione sovietica, i nuovi stati indipendenti dell’Asia centrale hanno gravitato a lungo nell’orbita della Federazione russa. Era inevitabile fosse così dopo sessant’anni di integrazione economica e politica in seno all’URSS, ma con il passare del tempo i legami si sono progressivamente allentanti. Anche se restano in vigore trattati ed accordi conclusi con Mosca, nella realtà le relazioni sono molto meno intense. In tale contesto e forte della propria posizione di principale partner commerciale, l’Unione europea sta cercando da qualche anno di porsi come interlocutore privilegiato nella regione, in aperta concorrenza con Russia e Cina. Dopo una riunione a livello di Capi di Stato e di Governo a fine ottobre, ha ora avuto luogo a Samarcanda un importante incontro a livello ministeriale nel corso del quale l’alto rappresentante per la politica estera dell’UE Borrell non ha nascosto le ambizioni europee. Il testo dell’intervento di Borrell unitamente ad una breve analisi politica sono riportati dal portale Insight EU Monitoring (leggi). Dell’incontro di Samarcanda ha scritto anche (in italiano) Euractiv.itleggi.

 

Il Montenegro è stato il primo paese dei Balcani occidentali ad avviare i negoziati di adesione all’UE (giugno 2012). I funzionari dei Ministeri di Podgorica hanno lavorato con impegno per adeguare la legislazione nazionale a quella comunitaria, ed è stato così possibile per la Commissione aprire discussioni dettagliate relativamente a tutti i capitoli negoziali. Gli importanti progressi rischiano ora di essere compromessi dal peggiorare della crisi politica in cui il paese si trova ormai da molti mesi. Tutto continua a girare attorno alla discussa figura di Milo Đukanović, attualmente Presidente della Repubblica e in passato Primo ministro, da sempre padre-padrone del Montenegro. Un sunto della situazione, non troppo dettagliato ma efficace, è stato pubblicato sul sito dell’Avantileggi. Su Đukanović, del quale si sono occupate negli anni sia la giustizia italiana che quella svizzera, si veda un vecchio articolo (2012) pubblicato sul sito ticinese Liberatvleggi.   

 

Non è per caso che un linguaggio venato di ambiguità, privo di asprezze polemiche o addirittura al limite dell’ipocrisia viene definito “diplomatico”. Ma è proprio di scarsa attenzione diplomatica che sembra aver peccato Francesco Sacco, Ambasciatore italiano in Croazia, quando nell’aprile scorso visitò il Campo di concentramento ustascia di Jasenovac, dimenticando di ricordare i serbi, gli ebrei e i rom trucidati in quel Campo dai seguaci di Ante Pavelić ed attirandosi così le ire serbe. (La gaffe fu probabilmente l'errore di un suo collaboratore; ne parlò il quotidiano online Faro di Roma – leggi.) L’ambasciatore Sacco ha invece ritrovato l’aplomb del suo ruolo in una recente intervista concessa in occasione del trentennale delle relazioni diplomatiche tra Zagabria e Roma, nel corso della quale ha sottolineato gli ottimi rapporti tra i due paesi e il pieno sostegno italiano all’ingresso della Croazia nello spazio Schengen e nell’eurozona. Ne ha riferito ampiamente La Voce del Popololeggi.

 

Liz Truss è stata Primo ministro del Regno Unito per meno di 50 giorni, ma il suo breve soggiorno a Downing Street ha avuto un effetto devastante sulla politica, sull’economia e sulla credibilità istituzionale del suo paese. C’è qualcosa di irrazionale in tale vicenda, visto che la brevità della permanenza al Governo non ha in realtà permesso di adottare misure concrete e i danni sono stati provocati soprattutto dagli annunci circa la strada che si voleva seguire. Danni ben più concreti sono invece quelli che, senza necessariamente suscitare clamore, sono stati e ancora sono causati dalla Brexit. I britannici tutti se ne stanno rendendo conto (il 56% ritiene adesso che lasciare l’UE sia stato un errore) e infatti il nuovo Primo ministro Rishi Sunak (che pure aveva sostenuto la Brexit) si è da subito messo al lavoro per rammendare i rapporti con Bruxelles, portati quasi allo strappo dai suoi predecessori Truss e Johnson. Ne scrive con grande lucidità di analisi Politico.euleggi.