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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 24/11/24

Vi aspettiamo lunedì 25 novembre alle 17:30 al Circolo della Stampa di Trieste in Corso Italia 13 alla conferenza "L'America e il mondo secondo Trump"! Trovate maggiori informazioni nella Rassegna di oggi e nella locandina in allegato
 
 
La conferenza “L’America e il mondo secondo Trump: cosa cambia per l’Europa?” organizzata da Dialoghi europei ospiterà, in qualità di relatori, il prof. Stefano Silvestri e il prof. Mauro Barberis e, in collegamento dagli States, il prof. Mitja Gialuz. Tra i recenti interventi del prof. Silvestri in merito ai temi oggetto della conferenza, si segnalano due articoli recentemente apparsi su L’Unità (leggi) e, rispettivamente, sul sito TechTalking (leggi). Quest’ultimo in particolare propone un’interessante lettura di come l’elezione di Donald Trump “potrebbe avviare un cambiamento che ridisegnerebbe i confini tra Silicon Valley e le istituzioni federali incaricate di regolare il settore”. Il prof. Barberis ha presentato il 4 novembre scorso al Caffè San Marco, il suo ultimo volume (L’incanto del mondo – Un’introduzione al pluralismo, Meltemi editore), del quale ha anticipato alcuni contenuti sul Fatto Quotidianoleggi. Un’intervista-dialogo con il prof. Barberis su “Libertà, pluralismo e costituzionalismo” è pubblicata sul sito della Treccani (leggi). Da Chicago, dove ha avuto occasione di seguire direttamente lo svolgersi delle elezioni presidenziali americane, il prof. Gialuz aveva inviato al Piccolo una corrispondenza pubblicata il giorno prima del voto (leggi). Tra stimolo alla riflessione e provocazione intellettuale, sempre nell’ottica dell’evento di lunedì 25 si segnalano le posizioni assai originali, ma condivise dai fautori del liberismo estremo, espresse dal sito conservatore ed euroscettico Brussels Reportleggi.
 
In una corrispondenza dal Cairo dello scorso ottobre, l’inviata di RaiNews24 Annapaola Ricci riassumeva la peculiare posizione dell’Egitto con riguardo alla guerra a Gaza parlando di “equidistanza attiva” (ascolta). Dopo aver riconosciuto Israele sin dal 1979 (primo paese arabo a farlo), l’Egitto si è progressivamente trasformato in “alleato e partner strategico (con) interessi comuni e un solido rapporto” con lo stato ebraico: così scriveva meno di sei mesi prima dell’attacco di Hamas Geopolitica.info, in un articolo la cui lettura risulta oggi particolarmente interessante (anche per le considerazioni inerenti all’impatto economico degli Accordi di Abramo): leggi. Il conflitto palestino-israeliano ha evidentemente mutato tale paradigma e la situazione economica dell’Egitto comincia a risentire pesantemente delle circostanze: lo evidenzia una ricerca dell’ISPI, che si sofferma anche sulle conseguenze degli attacchi houthi nel Mar Rosso, che hanno causato al paese “una perdita di circa 4 miliardi di dollari l’anno, pari al 2% del Pil” (leggi). Ciò nonostante, risalta il profilo relativamente basso adottato dal Cairo sul piano politico, decisamente orientato a quella “equidistanza attiva” sopra citata. Lo confermano i toni moderati usati dal Presidente Al Sisi sia in un incontro con una delegazione del Congresso statunitense (leggi nel resoconto del Daily News Egypt), sia nell’ intervento al vertice straordinario arabo-islamico dell’11 novembre a Riyad (come riferito dal sito Report Difesaleggi – risalta la diversa retorica del comunicato finale del vertice, disponibile sul sito del governo pakistanoleggi).
 
L’attenzione rivolta alla battaglia politica in seno al Parlamento europeo (e nelle capitali) nei giorni che hanno preceduto la conferma di Raffaele Fitto e Teresa Ribera quali vicepresidenti della Commissione von der Leyen 2 (aveva riassunto i termini della questione Europa Todayleggi) ha fatto scivolare in secondo piano l’analisi di competenze e programmi degli altri Commissari designati. È parzialmente sfuggita a questo destino l’ex premier estone Kaja Kallas, Alta rappresentante designata per la Politica estera dell’Unione, ruolo chiave di “Ministro degli esteri” dell’UE e unica vicepresidente nominata dal Consiglio europeo e non dalla Presidente della Commissione (ai sensi degli articoli 17 – leggi – e 18 – leggi – del Trattato). Un breve sunto di quanto affermato in sede di audizione parlamentare è stato fornito da RaiNews (leggi), mentre un più dettagliato resoconto è stato proposto da Politico.eu (leggi). Da quest’ultimo si apprende tra l’altro la posizione di Kallas circa l’accordo commerciale con i paesi dell’America latina (Mercosur): “Se non stipuliamo un accordo commerciale con loro, questo vuoto sarà davvero colmato dalla Cina”. Tale accordo, in discussione da 25 anni, è osteggiato da una parte del mondo agricolo europeo, al quale è allineata la Francia (come ha scritto la Reuters – leggi – e con un’analisi più dettagliata Le Monde – leggi). Le parole di Kaja Kallas suonano nondimeno particolarmente attuali alla lettura della notizia dell’inaugurazione di un maxi porto costruito in Perù dai cinesi (di cui ha riferito tra gli altri il Sole24Ore, che scrive “l’iniziativa promette di stravolgere le dinamiche commerciali e infrastrutturali dell’America Latina, a beneficio di Paesi confinanti con il Perù, Ecuador e Colombia, ma anche Brasile, Bolivia, Cile”: leggi).
 
L’emotività suscitata da un fatto eclatante lascia prima o poi il posto alla valutazione razionale. Accade così anche per i fenomeni più luttuosi, come le guerre in Ucraina e in Medioriente. Ne sono evidenza le narrazioni sui media che con il passare del tempo assumono toni sempre meno ansiogeni e sempre più controllati. Parallelamente, anche le cancellerie abbandonano almeno in parte i proclami altisonanti e si affidano alla Realpolitik: il Ministro degli esteri Antonio Tajani ha ad esempio usato parole molto diplomatiche per sostenere che bisognerebbe “riflettere sul dare vita a una conferenza come quella dell’Ucraina per la ricostruzione […] per Gaza, per il Libano e per quelle parti di Israele del nord che sono state colpite” (come riferito dall’ANSAleggi). Del resto, il tema della ricostruzione post-bellica è quanto di più concreto esista per anestetizzare le reazioni emotive. Il 13 e 14 novembre si è tenuta a Varsavia la quinta “Exibition & Conference” dell’organizzazione Rebuild Ukraine (variamente sponsorizzata negli Stati Uniti e in Europa – vedi il sito): una kermesse descritta come “piattaforma offline per progetti di ricostruzione, materiali, tecnologie, attrezzature e investimenti” (leggi). In concomitanza con l’evento; l’UE e il governo ucraino hanno organizzato, sempre a Varsavia, la prima “Conferenza sugli Investimenti Unione Europea-Ucraina” che ha lanciato “un invito a manifestare interesse per mobilitare investimenti privati europei in aree cruciali, al fine di sostenere gli sforzi di ricostruzione dell'Ucraina” (leggi sul sito Europa). Ad un tale approccio intriso di Realpolitik fanno da contraltare molti articoli pubblicati nella ricorrenza dei 1000 giorni di guerra (19 novembre), tra i quali si segnala quello, ispirato piuttosto all’Idealpolitik, di Avvenireleggi. (Chi fosse interessato può trovare spunti di riflessione sulla dicotomia Realpolitik-Idealpolitik in un articolo del 2015 – ma sorprendentemente attuale –sul sito dell’European Council on Foreign Relationsleggi.)
 
Accordo politico concluso tra partiti democratici per impedire qualsivoglia partecipazione alla gestione del potere da parte di partiti di estrema destra”: è questa la definizione di “cordone sanitario” data dal “Centre de recherche et d’information socio-politique” in Belgio, paese dove l’espressione è stata coniata ed usata fin dal 1988 (leggi). Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e molta ne è affluita al mulino delle destre, al punto da giustificare in tanti casi il titolo perentorio di un lucido articolo del Manifesto: “Cordone sanitario addio” (leggi). Al Parlamento europeo il cordone ancora regge, benché sfilacciato, perché il Gruppo dei “Conservatori e Riformisti europei – ECR” (cui aderisce Fratelli d’Italia) ha alla sua destra la formazione ancora più estremista dei “Patrioti per l’Europa – PfE” (la consistenza dei Gruppi è illustrata sul sito del PE: leggi). Impossibile non constatare tuttavia che i PfE, che riuniscono i partiti dell’ungherese Orbán, della francese Le Pen, dell’italiano Salvini, dello spagnolo Abascal e dell’austriaco Kickl rappresentano la terza forza dell’eurocamera. E la loro determinazione è stata sottolineata proprio da una recente affermazione del Presidente ungherese: “Non c’è bisogno di spostarsi verso il centro, perché il centro si è già spostato verso di noi” (riferito da Daily News Hungaryleggi). E le parole d’ordine lanciate dallo stesso Viktor Orbán sono chiare: “Non siamo qui per gestire il declino, siamo qui per fare di nuovo grande l’Europa”. Make Europe great again, come riporta il titolo di un articolo del Budapest Times (leggi).