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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 24/09

Questa settimana raddoppiamo! Oltre alla consueta (ma sempre originale) rassegna stampa, ecco il link ai risultati della consultazione con i candidati alle elezioni politiche: qui scoprirete cosa pensano della politica europea ed internazionale italiana.
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La presenza francese in Africa, per decenni salda e quasi monopolistica nel vasto quadrante nord-occidentale del continente, è stata messa in discussione in anni recenti dal un crescente attivismo di paesi terzi (Cina, Turchia e soprattutto Russia). Emblematico è stato, nei mesi scorsi, il ritiro dei soldati francesi dal Mali dopo quasi un decennio di permanenza. Resta il fatto che Parigi, a differenza di quanto hanno fatto gli americani in Medio oriente, non intende assolutamente optare per il “disimpegno”. Anzi, continua a lanciare iniziative in cui si propone come partner sincero ed affidabile per progetti rivolti al futuro. Ecco quindi che per la fine di settembre è stato organizzato un Forum Africa-Francia sulla transizione ecologica. Il messaggio che si può leggere tra le righe è doppio: da un lato, includiamo i paesi meno sviluppati nello sforzo per la salvaguardia del pianeta; dall’altro, sia la Francia il punto di riferimento economico e culturale dei paesi africani che intendono aderire a tale sforzo. Il Forum è stato annunciato sul sito di InfoAfrica (leggi).

 

Raramente questa rassegna stampa segnala notizie non direttamente attinenti all’Europa e ai paesi che le sono geopoliticamente vicini. Può capitare tuttavia che una notizia riguardante un paese di un altro continente possa essere utile per capire quello che succede o potrebbe succedere qui da noi. Solo un anno fa il Montenegro rischiò di perdere una fetta di sovranità quando si trovò nell’impossibilità di restituire un prestito alla Cina. L’intervento di alcune banche, favorito dalla moral suasion della Commissione europea, scongiurò il pericolo. Non per questo i cinesi hanno abbandonato una strategia che applicano a livello globale, soprattutto nei confronti di paesi medio-piccoli e con conclamate difficoltà economiche. Esemplare da questo punto di vista la ristrutturazione del debito concordata dall’Ecuador con Pechino per un valore di vari miliardi di dollari. Può darsi che le nuove scadenze vengano onorate senza problemi dal paese sudamericano; resta nondimeno l’impressione di una seria ipoteca cinese su un paese tradizionalmente vicino a Stati Uniti ed Europa. La notizia ha trovato spazio su molte piattaforme d’oltre oceano, tra cui Newsbreak.comleggi.

 

Il progetto di un’autostrada che attraversasse il Montenegro da nord a sud, finanziato da capitali cinesi e all’origine del rischio di default cui si è accennato qui sopra, è stato voluto da Milo Đukanović, da oltre trent’anni dominus assoluto a Podgorica. Ricoprendo alternativamente il ruolo di Primo ministro e di Presidente, Đukanović è sempre stato in grado di controllare la vita politica montenegrina. Così è stato anche dopo la sconfitta elettorale del suo partito nel 2020, quando ha dovuto accettare (nella veste attuale di Capo dello Stato) la formazione di un governo da parte di forze a lui contrarie, operando nel contempo per scalfirne la debole maggioranza parlamentare. Il lavorio discreto sembra andato a buon fine, e dinanzi ai contrasti nella coalizione di governo, Đukanović ha convocato nuove elezioni, come riferisce Balkan Insightleggi.

 

Nel dicembre 2018, il Governo italiano allora presieduto da Antonio Conte, con Matteo Salvini Ministro dell’interno, non partecipò all’incontro di Marrakech nel corso del quale fu adottato il Global Compact for Migration, un’iniziativa volta ad incoraggiare la cooperazione in materia di migrazioni. Eppure una semplice, quasi scontata riflessione sulla storia italiana di pochi decenni orsono dimostra come proprio gli sforzi di regolamentare i flussi migratori siano capaci di disciplinare movimenti che comunque non potrebbero essere fermati. È di questi giorni la visita a Wolfsburg dell’Ambasciatore d’Italia in Germania per celebrare il sessantesimo anniversario dell’arrivo dei primi lavoratori italiani nella città della Volkswagen (leggi il resoconto sul sito dell’Agenzia internazionale stampa estero). L’industria tedesca di allora, bisognosa di manodopera anche non qualificata, come molte industrie italiane di oggi, beneficiò enormemente dell’arrivo concordato di centinaia di migliaia di italiani (e non solo). Come una gestione razionale dei flussi sia possibile, è stato illustrato da un articolo del Mulino del 2019, dedicato all’accordo italo-tedesco in materia, firmato il 20 dicembre 1955 (leggi).

 

Il PIL della Polonia è di circa 600 miliardi di Euro. Non può quindi passare inosservata la recente rivendicazione del partito di governo PiS (Prawo i Sprawiedliwość - Diritto e Giustizia) che, in vista delle elezioni del prossimo anno, avanza una richiesta alla Germania di 1.320 miliardi di Euro a titolo di riparazioni di guerra. La mossa è puramente propagandistica, in quanto la questione delle riparazioni è già stata chiusa anche con sentenze di Tribunali polacchi, ma evidentemente il sovranismo spinto dei leader del PiS ha bisogno di rinfocolare i sentimenti nazionalistici della popolazione che, oltre a temere ora più che mai la minaccia russa, conserva uno spiccato spirito anti-tedesco. Quest’ultimo, a sua volta, diventa per molti ostilità nei confronti dell’Unione europea, di cui la Germania appare ancora come la “locomotiva”. Un’analisi convincente dei sentimenti di molti cittadini polacchi è offerta da un articolo di Formiche.netleggi.

 

Il voto contrario degli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia alle sanzioni volute dal Parlamento europeo contro l’Ungheria di Orbán è diventato oggetto della campagna elettorale italiana, portando in fondo un elemento di chiarezza sul reale europeismo di quelle forze politiche. Quello che non è stato forse sufficientemente sottolineato è che tra i motivi principali che hanno portato alla condanna dell’Europarlamento figura la corruzione prevalente nel paese. Le violazioni dei principi dello stato di diritto, rivendicate da Orbán e dai suoi seguaci come manifestazioni di “sano” sovranismo, non hanno solo inciso sui diritti delle persone, ma sono anche alla base di una corruzione ormai endemica, al punto che Transparency International colloca l’Ungheria al primo posto nella classifica dei paesi più corrotti dell’UE. Parla di tutto questo un articolo de Il Postleggi.