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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 23/03/25

Come ricorda l’allegata locandina della conferenza che Dialoghi europeiorganizza in collaborazione con l’associazione Umanità, la Commissione europea ha recentemente presentato una proposta di regolamento in merito ad “un nuovo sistema europeo comune di rimpatrio” (leggi il comunicato stampa su Europa.eu).
Avranno modo di darne una prima valutazione, e di confrontare le legislazioni italiana e slovena, i relatori che sono stati invitati:
- il prof. Bruno Tonoletti, che dirige, presso l’Università di Pavia, la Clinica legale in Diritto dell’immigrazione (un’attività formativa innovativa che alterna a moduli di lezioni frontale esercitazioni pratiche consistenti nell’affiancamento dei funzionari della Questura o della Prefettura e nell’istruzione di pratiche in ambito di concessione della cittadinanza, immigrazione e ricongiungimento familiare, accoglienza e controllo dello status dei richiedenti asilo, gestione dei centri di accoglienza e supporto delle attività del Consiglio per l’Immigrazione - molte informazioni sulle cliniche legali si trovano su Scienza e Pace Magazineleggi);
- l’avv. Caterina Bove, attiva nella pluridecennale Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Associazione (vedi il sito) che si ripropone di promuovere l’uguaglianza e la tutela dei diritti umani delle persone straniere, inclusi migranti, rifugiati e apolidi;
- l’avv. Urša Regvar, responsabile della Sezione “Asilo e migrazioni” del PIC – Legal Center for the Protection of Human Rights and the Environment di Lubiana (ragguagli sull’operato della Sezione sono disponibili sulla pagina webdedicata).
Obiettivi e finalità dell’Associazione Culturale Umanità, “libera Associazione apolitica e apartitica”, di cui Diego Marani è tra i fondatori, sono illustrati qui.
Il sito del Consorzio Italiano di Solidarietà di Gianfranco Schiavone è accessibile qui.
Dai primi giorni di marzo, Mihály Varga è il nuovo Governatore della Banca nazionale ungherese. Fedelissimo di Viktor Orbán, nel cui Governo è stato Ministro delle Finanze, al momento di prendere funzione ha dichiarato che: “L’economia ungherese è solida, le prospettive di crescita sono favorevoli e la liquidità delle famiglie, delle imprese e del sistema bancario è robusta” (così ha riferito Hungary Today, sito di notizie pro-governativo: leggi).
Forse il messaggio voleva essere rassicurante per cittadini e mercati, ma non sembra corrispondere alla realtà dei fatti. Un’indagine de Linkiesta risalente a fine gennaio asseriva che “Dopo quindici anni di Orbán, l’economia ungherese è ostaggio di inflazione e debito” (leggi), ed anche il dispaccio Reuters che annunciava l’assunzione dell’incarico da parte del nuovo banchiere centrale segnalava “rischi per l’inflazione e la crescita” (leggi).
Se la contraddizione tra le affermazioni di Varga e quanto suggeriscono fonti indipendenti appare evidente, esiste una lettura più “ideologica” dei fatti che sembra indicare che la situazione economica magiara corrisponde in realtà a quanto auspicato da Orbán. Nota un articolo di East Journal: “Orbán ha salutato il 2025 promettendo agli ungheresi un anno fantastico per l’economia nazionale. A fine gennaio, però, l’inflazione è salita al 6%. Le solite menzogne dei politici? No. Il leader di Fidesz non sta mentendo, è ideologicamente coerente con sé stesso.” (leggi).
Che si tratti o meno di un caso di coerenza, è innegabile che dopo quindici anni di potere indiscusso (alle ultime elezioni ha ottenuto il 68% dei seggi alla Camera unica) alcune crepe si fanno visibili. Il prossimo voto è previsto solo nel 2026, ma a differenza del passato un’alternativa politica sta prendendo corpo grazie all’azione di un ex membro del partito Fidesz, Péter Magyar, attualmente parlamentare europeo del PPE.
Come appare dall’ampia analisi di Euro Prospects (leggi), una destra moderata potrebbe rimpiazzare quella populista di Orbán.
 
Parole chiave: Ungheria, economia, Orbán, Magyar
Nonostante sia quasi una moda invitare (ed invitare noi stessi) a pensare “fuori dagli schemi” (out of the box), è difficile analizzare fatti e persone prescindendo dalle nostre scale di valori, conoscenze e convenzioni.
Per questo può essere utile leggere le opinioni di chi parte da presupposti diversi dai nostri: un buon esempio è quello del modo in cui un articolo del quotidiano turco Daily Sabah (vicinissimo ad Erdoğan) descrive la situazione nel Mediterraneo orientale e in Medioriente (leggi). Partendo dall’asserzione che Grecia, Cipro ed Israele “stanno formando un baluardo geopolitico contro la Turchia”, l’articolo afferma che “stati e istituzioni occidentali […] cercano di limitare l’influenza regionale della Turchia, confinandola nelle sue acque costiere e conculcandone lo spazio geopolitico ed economico”. Concetti non distanti da quelli formulati nel 2021 da Vladimir Putin nei confronti dell’Ucraina, e così riassunti allora sul sito dell’Atlantic Council: “l’Ucraina odierna non [è] altro che un progetto occidentale concepito esclusivamente per indebolire la Russia” (leggi).
L’articolo del Daily Sabah è importante anche perché non si limita ad un’analisi globale (sembra quasi un manifesto politico), ma scende nel particolare di situazioni concrete. È il caso ad esempio della ventilata ipotesi di una possibile annessione della Repubblica Turca di Cipro Nord (la cui situazione è riassunta dalla Treccanileggi) alla Turchia, al punto da evocare il precedente di Hatay, un territorio al confine con la Siria, ex protettorato francese, poi autonomo ed infine annesso da Ankara (nel 1939): ha ripercorso la vicenda un articolo dell’Osservatorio Balcani-Caucasoleggi. E il pezzo del Daily Sabah conclude: “Oggi Cipro ha per la Turchia la stessa rilevanza geostrategica che un tempo aveva Hatay […]. Esitare non è più un’opzione”.
 
Parole chiave: Turchia, Mediterraneo orientale, Cipro
L’interesse espresso da Donald Trump per un controllo diretto statunitense della Groenlandia (manifestato ancor prima dell’insediamento, come riferito dall’agenzia APleggi), al pari delle affermazioni circa un’incorporazione del Canada negli USA (leggi la reazione del sito canadese TVA Nouvelles) hanno suscitato enorme scalpore: cosa che lo stesso Presidente verosimilmente auspicava.
Dietro a prese di posizione così palesemente sconcertanti, è normale che “il tentativo di Trump di conquistare il Canada [stia] lasciando tutti perplessi”, come ha titolato un lungo articolo di NBC News (leggi). Ampliando lo spettro dell’analisi si scopre tuttavia che ancora una volta c’è probabilmente “del metodo in questa follia”.
Canada e Groenlandia occupano una porzione significativa di quella regione artica che sta diventando strategicamente sempre più importante, mano a mano che il riscaldamento climatico permette di individuare nuove possibilità di transito e di sfruttamento delle risorse minerarie presenti sotto il mare o sotto i ghiacci.
Nel novembre 2024 Geopolitica.info ha ricapitolato quale fosse “La strategia americana nell’Artico” (leggi), segnalando che, nonostante nel 2022 l’Amministrazione Biden avesse promosso una National Strategy for Arctic Region, “nel complesso gli Stati Uniti appaiono più arretrati della Russia nella corsa all’Artico e meno attivi anche della Cina”.
Focalizzato soprattutto sul contenimento della Cina, il nuovo Presidente americano vede ora nella regione artica un tassello della sua visione securitaria.
Come ha scritto un illuminante articolo del Groupe d’études géopolitique: “Quando Trump parla di acquisire la Groenlandia, di rinominare il Golfo del Messico «Golfo d'America» e di prendere il controllo del Canale di Panama, manifesta esplicitamente una preoccupazione per la sicurezza dell’emisfero” (leggi).
 
Parole chiave: Trump, Canada, Groenlandia, egemonia, Artico