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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 23/02/25

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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
 
L’adagio secondo il quale la storia si ripete, una volta come tragedia ed una volta come farsa, risale ad un’opera di Marx del 1852 (leggi sul sito Marx-Karl.com). Dinanzi ai ripetuti successi elettorali dei partiti di destra cha hanno già portato al potere in molti paesi forze conservatici e reazionarie, c’è da augurarsi che il vecchio Marx abbia visto giusto. Negli anni che hanno preceduto lo scoppio della seconda guerra mondiale la situazione politica presentava varie similitudini con quella attuale: diversi paesi (Italia, Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Ungheria, Romania) erano governati da regimi autoritari ed altri (tra cui il Regno Unito) attuavano comunque politiche conservatrici (un’ampia bibliografia in materia è disponibile sul sito dell’Università di Veneziavedi). In molti casi le Costituzioni vigenti vennero modificate o svuotate dei loro tratti democratici. Qualcosa di simile è avvenuto ben più di recente in Polonia con i governi ultraconservatori del PiS (2015-23) i quali, fin dall’inizio, hanno avviato il paese sulla strada dell’illiberismo (ne scrisse nel 2016 Politico.euleggi). Tale azione di smantellamento dei principi della democrazia liberale è stata accompagnata da una sistematica occupazione delle istituzioni (come illustrato dall’European Council on Foreign Relationsleggi). Oggi ne fa le spese il Primo ministro Donald Tusk, accusato dal Presidente del Tribunale costituzionale (nominato a suo tempo dal PiS) nientemeno che di colpo di Stato (come riportato da Euractiv.itleggi).

 
Solo ad inizio dicembre 2024, a poco più di un mese dal passaggio delle consegne a Donald Trump, Joe Biden ha effettuato la prima e unica visita ufficiale del suo mandato in un paese africano. Come ha commentato Ken Opalo, professore alla Georgetown University, “la scelta del momento riflette l’insignificanza strategica globale dell’Africa vista dalla prospettiva degli esperti di politica estera di Washington” (riportato dal sito della rete di radio indipendenti USA npr.orgleggi). Ciò nonostante, va rilevato che la visita presidenziale non è stata di pura rappresentanza ed ha anzi posto l’attenzione su un progetto di grande rilievo, quale il Corridoio Trans-Africano di Lobito, “arteria ferroviaria strategica di 1.300 km [che] collega le ricche regioni minerarie del Katanga, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), e del Copperbelt, in Zambia, al porto angolano di Lobito” (leggi l’analisi sul sito dello IARI intitolata “Corridoio di Lobito: l’opportunità dell’Africa Australe nella competizione sino-americana”, tema al quale ha dedicato un articolo anche il CeSIleggi). L’imprevedibilità delle decisioni del nuovo Presidente statunitense rende difficile il compito degli analisti che cercano di capire se la politica seguita da Donald Trump per il continente africano sarà di disimpegno o di maggiore coinvolgimento. Molto probabilmente “le decisioni che prenderà saranno basate sull’aspettativa di rendimenti finanziari significativi”: è questo almeno il parere dell’africanista americano Lawrence Freeman sul sito Africa and the World – leggi. In Italia, il giudizio di Nigrizia è piuttosto pessimistico: il mensile dei missionari comboniani ha infatti titolato “Trump e l’Africa: sogni e incubi” (leggi). In ogni caso del Corridoio di Lobito si sentirà ancora parlare. Si tratta infatti di un progetto strategico tanto per il piano Mattei del nostro Governo, quanto per il programma Global Gateway dell’Unione europea, come hanno ben illustrato Andrea Stocchiero, Giovanni Carbone e Fabio Spitaleri alla recente conferenza di Dialoghi europei.
 
Non passa ormai giorno senza che dal Presidente USA, dai suoi ministri o dai vertici della sua amministrazione vengano lanciati avvertimenti, ultimatum, minacce l’uno più iperbolico dell’altro. Ne consegue, da un lato, la viva preoccupazione dei destinatari dei vari diktat, dall’altro, il rapido spostamento dell’attenzione da un tema all’altro, da un’area del mondo ad un’altra. Durante una delle sue prime esternazioni, il (non ancora insediato) Presidente affermò “che gli Stati Uniti ritengono sia una «assoluta necessità» possedere e controllare la Groenlandia, «nell'interesse della sicurezza nazionale e della libertà nel mondo»”: ne scrisse il sito della radio pubblica Deutschlandfunkleggi. A distanza di poche settimane l’argomento è già uscito dalle prime pagine dei giornali, ma sarebbe un errore perderlo di vista. Come titolato da Linkiesta, “L’UE non deve sottovalutare le promesse ardite di Trump sulla Groenlandia” (leggi), non solo per la valenza strategica, ma anche più prolissamente perché l’isola “è inoltre [ricca] di risorse naturali come oro, argento, zinco, criolite, terre rare, metalli preziosi, uranio”, “contiene approssimativamente 31,400 milioni di barili equivalenti di petrolio” e “centoquarantotto trilioni di piedi cubi di gas naturale”. Interessante notare infine che l’atteggiamento statunitense nei confronti della Groenlandia ha forse segnato un punto di svolta non solo per quest’ultima, ma anche per altri paesi, in particolare la Norvegia e l’Islanda. Dedica un’analisi ad un’eventuale nuova dimensione nordica dell’allargamento dell’UE il sito New Union Post (leggi). Se alcune ipotesi dell’articolo sono probabilmente azzardate, resta il fatto che la Prima ministra islandese Kristrún Frostadóttir “ha annunciato un ritorno alla prospettiva di adesione di Reykjavik all’Unione europea”, come riferito da eastjournal (leggi).
 
Forse meno presente sui media del suo omologo (e sodale) ungherese Viktor Orbán, il premier slovacco Robert Fico non si esime certo dal mostrarsi campione di sovranismo e filo-putinismo (si è recato al Cremlino alla vigilia di Natale, come riportata dall’ANSAleggi). Le ragioni di questo atteggiamento, che hanno esposto Fico alle critiche e al disappunto di quasi tutti gli Stati membri e delle Istituzioni comunitarie, hanno parzialmente un fondamento ideologico (secondo eastjournal il partito di Fico “si colloca nell’alveo di quel nazional-populismo diffuso in Europa centro-orientale, che fa dell’opportunismo un efficace strumento di successo politico”: leggi), ma più fondamentalmente motivazioni economiche. La Slovacchia aveva tradizionalmente una dipendenza quasi totale dal gas di Mosca, e avrebbe volentieri continuato ad approvvigionarsi sul mercato russo se ciò non fosse diventato impossibile con la chiusura del transito attraverso l’Ucraina deciso da Kiev a fine 2024. Descrive la situazione un articolo della European Studies Review (leggi), che sottolinea tuttavia anche un aspetto nuovo, annotando come ci sia “un consenso crescente sul fatto che il governo di Fico non arriverà alla fine del suo mandato nel 2027 e potrebbe crollare già nel 2025”. La gravità della crisi politica a Bratislava è illustrata da EUNewsleggi. Nel frattempo, anche i rapporti di vicinato si complicano, in particolare per il permanere di dispute e dissidi con il governo di Praga: ne scrive anche in questo caso eastjournal(leggi).