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Causale: "Quota 2025"
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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
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Non c’è solo tracotanza negli annunci di Donald Trump in merito alle prime misure adottate quale 47mo Presidente degli Stati Uniti: si direbbe che più le misure sfidano il buon senso e finanche il raziocinio, più traspare un intimo compiacimento per averle prese. In materia di clima, ad esempio, il sito ufficiale della Casa Bianca afferma che “Il Presidente sprigionerà il potenziale energetico degli Stati Uniti eliminando le politiche di estremismo climatico di Biden. […] Il Presidente Trump si ritirerà dall’Accordo di Parigi sul clima” (leggi). Ma evidentemente in questo contesto buon senso e raziocinio stanno diventando orpelli del passato anche fuori dagli Stati Uniti. Un interessante articolo di Andrea Tilche (Università di Bologna) sul sito Energia per l’Italia, mette in evidenza come impegni recentemente sottoscritti anche dall’Italia (durante la presidenza del G7) siano stati già accantonati dal nostro Governo e da “membri della sua maggioranza [che si scagliano] contro un nemico che chiamano «ambientalismo ideologico»” (leggi): tra l’accusa di “estremismo climatico” e quella di “ambientalismo ideologico” la differenza sembra esile. D’altronde il riposizionamento nei confronti delle politiche ambientali è ormai ben avviato. All’inizio del suo primo mandato, Ursula von der Leyen aveva fatto del Patto verde (Green Deal europeo - GDE) il suo cavallo di battaglia: dinanzi al Parlamento europeo aveva affermato che “Sono i popoli d’Europa che ci hanno chiamati a un’azione decisiva contro il cambiamento climatico” (leggi su Europa.eu). Oggi “l’UE sta assistendo a un tentativo di revisione del Green Deal da parte del Partito Popolare Europeo, il partito di maggioranza di cui è espressione la presidente della Commissione europea”, come scrive il sito Qualenergia.it (leggi). È evidente che affrontare la sfida del GDE in presenza di scelte politiche tanto mutevoli depotenzia da subito qualsiasi azione, anche perché, come ben spiega un articolo di Dario Bevilacqua (Università di Modena e Reggio Emilia) sul sito della Rivista Giuridica dell’Ambiente, “nel complesso disegno regolatorio del GDE – in special modo nella sua fase di attuazione e realizzazione – le pianificazioni o programmazioni hanno un ruolo centrale e determinante” (leggi). Difficile programmare in assenza di certezza del diritto o almeno di una chiara e stabile impostazione normativa.
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Nel discorso pronunciato nell’emiciclo di Strasburgo il 22 gennaio, con il quale ha inaugurato il semestre di presidenza polacca del Consiglio dell’UE, il Primo ministro Donald Tusk si è concesso qualche passaggio retorico forse eccessivo (“ Su la testa, europei. L’Europa era, è e sarà grande”), ma ha soprattutto delineato un programma fortemente securitario ( leggi sul sito della presidenza polacca), ben riassunto dal motto “ Sicurezza, Europa”. Il tema della sicurezza permea infatti tutte le iniziative che saranno lanciate in “ sette diversi aspetti: sicurezza esterna, interna, informativa, economica, energetica, alimentare e sanitaria”, come ricorda il sito di Confindustria L’imprenditore: leggi. Questa impostazione deve far riflettere ancora una volta sull’abilità politica dimostrata dalle destre nell’appropriarsi in modo esclusivo del problema della sicurezza (ha stigmatizzato l’apatia della sinistra al riguardo Walter Veltroni sul Corriere: leggi). Donald Tusk non appartiene alla destra radicale, ma è un liberale moderato che ha seguito la svolta conservatrice del PPE. Quest’ultimo non sfugge infatti alle influenze dei partiti popolari degli Stati membri, che hanno scelto di contrastare la destra più estrema copiandone alcune posizioni: ad esempio, come scrive Euronews, il programma elettorale della CDU in vista delle prossime elezioni “ spinge la Germania ancora più a destra” ( leggi). Gli fa eco Formiche.net indicando che “ il rischio di un lento, parziale ma progressivo scivolamento a destra dei principali partiti storici della Germania è plausibile” ( leggi).
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L’accordo per la realizzazione dei centri per migranti a Shëngjin e Gjadër, in Albania (il testo del Protocollo ufficiale è sul sito della Presidenza del Consiglio: leggi), ha evidenziato il momento di grande vicinanza tra il Governo di Roma e quello di Tirana. Il Primo ministro Edi Rama, leader del partito socialista (il Corriere ha recentemente pubblicato una sua intervista: leggi), non perde occasione per manifestare grande familiarità e stima nei confronti di Giorgia Meloni. Va detto che nella già lunga carriera politica, il posizionamento ideologico i Rama ha subito una progressiva trasformazione: come ha scritto già nel 2021 East Journal, “la percezione di Edi Rama si è evoluta dall’essere una stella nascente all’inizio della sua carriera come talentuoso sindaco di Tirana, a una figura corrotta e autoritaria negli ultimi anni come capo del governo” (leggi). Il premier albanese ha nondimeno ragione quando sottolinea i forti legami tra il suo paese e l’Italia (si veda la citata intervista al Corriere). Secondo uno studio appena pubblicato dal CeSPI (leggi), “al 1° gennaio 2023 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali italiano conta[va] 389.646 albanesi regolarmente soggiornanti nel Belpaese”. Si tratta del secondo gruppo etnico più numeroso in Italia, dopo i rumeni (lo riferisce l’ultimo rapporto del CNEL: leggi). Una presenza tanto significativa determina un consistente flusso di rimesse verso il paese d’origine: come si legge nello stesso studio del CeSPI, nel periodo 2008-2019 le rimesse della diaspora albanese nel suo complesso “hanno costituito in media l’11.7% del PIL” del paese balcanico. È un fenomeno ben noto anche in Italia, a lungo paese di emigrazione. Chi volesse approfondire gli effetti economici e sociali prodotti dall’emigrazione troverà utile una ricerca dell’Università la Sapienza riferita al caso italiano, scaricabile dal sito Popolazione e storia: leggi. Vi si legge che: “il beneficio maggiore fu quello che si ebbe dall’afflusso delle rimesse degli emigrati. Esse hanno rappresentano un elemento fondamentale dell’economia italiana, costituendo la base per gli investimenti, supporto al reddito, immissione di liquidità, facilitazione per l’accesso al credito.”
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“ È l’ennesimo focolaio in un mondo in fiamme”: con queste parole il giornalista francese Pierre Hasky ha chiuso un suo articolo – apparso anche su Internazionale ( leggi) – dedicato alla guerra in corso nella Repubblica democratica del Congo. Le ragioni del conflitto, che vede direttamente coinvolto il Ruanda, sono utilmente riassunte sul sito della televisione belga VRT ( leggi). Il Belgio è stato la potenza coloniale sia in Congo che in Ruanda, ma la Francia è stata fortemente coinvolta nella tragica guerra civile ruandese degli anni 1990 (quanto controverso e drammatico sia stato il coinvolgimento francese è ricordato su Cairn Info: leggi). Dietro le quinte di questo conflitto che, in atto da fine 2023, sta ricevendo la dovuta attenzione solo con il recente intensificarsi delle ostilità, ci sono vari attori internazionali interessati alle enormi risorse minerarie della regione coinvolta. Un articolo di Inside Over parla apertamente di “ assalto alle terre rare” ( leggi), ma in realtà la problematica è molto più ampia: negli ultimi anni si è infatti assistito ad un progressivo disimpegno americano dalla zona, con un parallelo maggiore coinvolgimento cinese: aiuta a comprendere la complessa situazione economica, strategica e geopolitica un dettagliato articolo del Council on Foreign Relations: leggi.
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Il pirotecnico esordio del secondo mandato di Donald Trump ha offuscato, su vecchi e nuovi media, altri avvenimenti di rilievo. Tra questi spicca l’assunzione della guida annuale dei BRICS da parte di Luiz Inácio Lula da Silva il 1° gennaio 2025. Interessante notare che la prima delle cinque priorità fissate dal Brasile per questo anno di presidenza è: “ Incentivare il commercio e gli investimenti: Promuovere l’integrazione economica attraverso lo sviluppo di sistemi di pagamento efficienti” ( leggi sul sito del Governo brasiliano), il che comporta “ promuovere lo sviluppo di un sistema di pagamento in valuta locale per sostituire il dollaro negli scambi commerciali tra i paesi membri” (come precisato dall’ Agência Brasil: leggi). Dietro all’apparente genericità delle parole “ promuovere lo sviluppo” si cela una potenziale minaccia all’egemonia del dollaro (illustrata da una ricerca pubblicata sul sito Research Gate: leggi) che ha già suscitato le ire del neo Presidente statunitense, pronto ad applicare dazi del 100% sugli scambi commerciali con i BRICS nel caso questi ultimi perseguissero effettivamente la creazione di una valuta alternativa al dollaro, come riportato dalla CNN ( leggi).
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