Per i dieci paesi entrati nell’UE il 1° maggio 2004, le prossime elezioni del Parlamento europeo rappresentano inevitabilmente un’occasione per tracciare un bilancio dei primi vent’anni trascorsi come “Stati membri”. Le voci critiche che si levano circa il funzionamento dell’Unione sono diventate più numerose e soprattutto più agguerrite, ma non contestano i vantaggi economici ricavati dai dieci (e successivamente da Bulgaria, Romania e Croazia) con l’adesione. Bene ha fatto la Commissione europea a pubblicare un opuscolo (leggi) che, seppur con qualche autocompiacimento, fornisce dati incontrovertibili circa i risultati conseguiti grazie all’allargamento. D’altronde, nemmeno i più feroci critici delle Istituzioni e delle politiche comunitarie possono negare tali risultati: interessante, a tale proposito, la dettagliata presa di posizione di Balázs Orbán (omonimo ma non parente e stretto collaboratore del Presidente ungherese) che sul sito Hungarian Conservative (il nome chiarisce l’orientamento) fornisce alcune indicazioni rivelatrici. Pur giudicando negativamente l’operato dei vertici europei, afferma chiaramente che l’Ungheria non può più fare a meno dell’UE (leggi). La contrapposizione prende così l’aspetto di una battaglia ideologica combattuta su un solido, proficuo (e comune) zoccolo economico, esente da contestazioni. Ma una vittoria dei nazionalisti l’8 e 9 giugno potrebbe rimettere tutto in discussione – ne scrive in termini ponderati lo IARI: leggi.
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