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In Serbia, le prossime elezioni parlamentari sono teoricamente previste nel 2026. Tuttavia, negli ultimi undici anni i serbi sono stati chiamati alle urne per un voto politico ben cinque volte, il che indica che le legislature tendono a durare all’incirca due anni. L’ultimo scrutinio ha avuto luogo nell’aprile 2022 ed è quindi comprensibile che il mondo politico cominci a prepararsi per un possibile voto nel 2024 o addirittura a fine 2023. La gestione da parte del Governo del processo di aggiornamento del bilancio pubblico, e ancor più le misure che vengono in tal modo introdotte, sembrano indicare la volontà dell’esecutivo di distribuire fondi e risorse a favore del proprio bacino elettorale di riferimento. Questo illustra con dovizia di esempi un articolo di BalkanInsight: leggi. Chi non sembra preoccupato per l’esito di eventuali elezioni è il Presidente Vučić, molto focalizzato sul tentativo di accreditare la Serbia come un partner affidabile sul piano internazionale, anche se non totalmente allineato sulle posizioni occidentali. L’intenso lavoro di lobbying, in particolare nei confronti degli Stati Uniti, è analizzato in un articolo dal sito International Politics and Society della Friedrich-Ebert-Stiftung: leggi.
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L’Istituto polacco di cultura a Roma ha recentemente organizzato una serie di concerti per celebrare l’epoca d’oro della Polonia (XVI secolo), caratterizzata da solidissimi rapporti culturali con l’Italia (il programma degli eventi è ancora sul sito dell’Istituto: vedi; un quadro del periodo storico è proposto dal sito della Treccani: leggi). Dopo di allora la Polonia ha avuto una storia molto travagliata, costantemente minacciata dai suoi potenti confinanti ad est e ad ovest. È probabilmente questa storia - e quella del XX secolo in particolare - che ha segnato l’animo di tanti polacchi che temono e detestano tanto i tedeschi quanto i russi. Su questi sentimenti di carattere più viscerale che razionale punta la campagna elettorale del partito al governo a Varsavia, il cui leader Morawiecki (Primo ministro) demonizza il suo avversario Tusk (già presidente del Consiglio Europeo) descrivendolo come un agente al servizio delle potenze straniere. E i sondaggi in vista delle elezioni di ottobre sembrano per il momento dargli ragione, come scrive un articolo di Politico.eu: leggi.
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Nel corso dell’ottocento l’Inghilterra vittoriana e la Russia zarista diedero vita al cosiddetto “grande gioco”, un confronto strategico-diplomatico e per il controllo del Caucaso e dell’Afghanistan quali corridoi di accesso al ricco subcontinente indiano (una breve sintesi degli avvenimenti principali può essere trovata sul sito dello IARI: leggi). Oggi l’Afghanistan è in mano ai talebani, ma il Caucaso rappresenta nuovamente uno snodo di grande importanza per i rapporti di forza tra le potenze regionali, come ben illustra un articolo di The Spectator dell’aprile scorso (leggi). Ma mentre Russia, Turchia, Iran e Cina stanno pianificando le loro mosse in questo nuovo “gioco”, Georgia, Armenia e Azerbaijan si sentono incentivati a presentare rivendicazioni territoriali o “logistiche”. Il conflitto in Nagorno-Karabakh ne è l’esempio più evidente. Le sue conseguenze anche per la popolazione civile sono evidenziate in un articolo da poco disponibile sul sito del CESPI: leggi.
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Nelle Memorie, pubblicate nel 1976, Jean Monnet espresse il convincimento che “Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà il risultato delle risposte a tali crisi”. Questa frase è stata citata innumerevoli volte in questo scorcio del secolo, quando l’UE è stata confrontata a crisi ripetute: finanziaria, sanitaria, economica, securitaria. Guardando alla capacità di reazione delle Istituzioni di Bruxelles, va riconosciuto che anche in questo caso Monnet aveva visto giusto: con una prontezza mai sperimentata in precedenza sono state adottate misure per l’acquisto comune di vaccini, è stato previsto un sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione (SURE) ed è stato varato il programma da altre 800 miliardi di Euro, Next Generation EU. In tutti questi casi, si è fatto riferimento all’articolo 122 del TFUE (leggi), articolo quasi mai utilizzato in passato quale base giuridica, ma ripreso in seguito anche per gli acquisti comuni di armi per l’Ucraina. (L’articolo 122 TFEU è analizzato dal Servizio giuridico del Consiglio nella sez. B, punti 115 segg. di questo documento.) La legittimità democratica dell’agire dell’UE in questi frangenti è vagliata in modo approfondito in una importante ricerca pubblicata (in inglese) dalla Stiftung Wissenschaft und Politik: leggi.
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È un po’ paradossale che la più famosa delle Confederazioni, quella elvetica, sia in realtà una federazione. Spiccatamente federale è infatti la Costituzione che il paese si diede nel tumultuoso 1848 (dopo una guerra civile di breve durata e tutto sommato poco cruenta – come attestato dal sito 1848-parl.ch: leggi), e della quale le Camere riunite hanno celebrato a Berna il 175° anniversario (ne ha riferito il sito della Televisione svizzera italiana: leggi). Dopo che già nel 1815 le potenze europee avevano riconosciuto la “neutralità perpetua” della Svizzera, la Costituzione del 1848 ne recepì il principio, rimasto immutato nel tempo, come ben descritto nell’opuscolo del Governo svizzero scaricabile qui. Nell’attuale fase di ricomposizione dell’ordine mondiale, o almeno di interrogativi sulla sua conformazione, anche le certezze svizzere sembrano vacillare. Una riflessione in materia è proposta da un articolo del luglio 2022 della rivista cattolica Tempi: leggi.
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Come ben sanno i lettori di questa piccola rassegna stampa di Dialoghi europei, nel dibattito sull’allargamento dell’UE l’attenzione è quasi sempre focalizzata sui Balcani occidentali da un lato e sui neo-candidati Ucraina e Moldavia dall’altro. Manca spesso un riferimento al processo di adesione della Turchia, paese ufficialmente candidato fin dal 1999. Ankara stessa ha dimostrato, negli ultimi anni, di non nutrire grande interesse per la prospettiva di un accesso all’UE, puntando piuttosto al sogno neo-ottomano del suo Presidente. Ha sorpreso quindi la presa di posizione del Ministro degli Esteri Hakan Fidan che ha accolto nella capitale turca il Commissario responsabile per l’allargamento Olivér Várhelyi affermando che “per l’UE non è possibile essere un vero attore globale senza la Turchia” e invocando un rilancio dei negoziati (ne ha scritto EUNews: leggi). Ha subito provveduto a raffreddare gli entusiasmi il Cancelliere austriaco Karl Nehammer, che ha chiesto puramente e semplicemente la fine del processo di adesione della Turchia (ne ha riferito il quotidiano austriaco Die Presse: leggi). Questi episodi aumenteranno probabilmente nel prossimo futuro, così come salirà di tono il discorso pubblico sull’allargamento dell’UE. Se ciò avverrà, se ne avvantaggerà di certo la chiarezza, assai carente in una situazione caratterizzata dalla cacofonia, come indica un articolo de Linkiesta: leggi.
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