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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 15/12/24

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Guardando l’incendio che ormai lambisce senza soluzione di continuità lunghi tratti dei confini orientali e sud-orientali dell’UE, non si può non provare un senso di smarrimento e disillusione ripensando al discorso che Romano Prodi pronunciò esattamente 22 anni fa in qualità di Presidente della Commissione, con il quale definì le premesse di quella che sarebbe diventata la politica europea di vicinato (PEV). (Su Europa.eu sono disponibili il testo del discorso, che vale la pena rileggere con attenzione – leggi – e quello della Comunicazione della Commissione con le linee guida della PEV – leggi.) Grazie a tale politica tutti i paesi confinanti (per terra o mare) con l’UE avrebbero goduto di relazioni sempre più strette con l’Unione, fino a condividere “tutto tranne le Istituzioni”. Sin da subito tuttavia i punti di debolezza dell’approccio furono segnalati: chiarissimo un articolo della Fondation Schuman del 2004, secondo il quale “la politica di vicinato è gravata da un’incoerenza intrinseca […] poiché il suo scopo è fare in modo che i vicini dell’UE assomiglino il più possibile agli Stati membri […] pur rifiutandosi di impegnarsi in una prospettiva di nuovo allargamento - leggi). Già nel 2015 si sentì l’esigenza di riformare la PEV, puntando soprattutto all’obiettivo meno ambizioso ma sempre impegnativo di stabilizzare i paesi associati (illustrò la riforma un argomentato articolo del Centre for European Policy Studiesleggi). Ma nuovamente nel 2021 lo strumento apparve inadeguato, soprattutto con riguardo ai paesi dell’est (un articolo ricco di rimandi è stato pubblicato dall’European Council on Foreign Relations dove già si osservava che “l’assistenza europea dovrebbe integrare la dimensione militare e di sicurezza”: leggi). Oggi, la guerra in Ucraina, quella che si è combattuta per il Nagorno Karabakh e l’instabilità della Georgia (per non parlare del braciere mediorientale) mettono a nudo le inadeguatezze della PEV, come illustra chiaramente un recentissimo studio dello IARI (leggi). Un lavoro complesso attende quindi la neo Commissaria all’allargamento, la slovena Marta Kos, come racconta Euronews (leggi).  
 
Il 1° gennaio 2025 la Polonia subentrerà all’Ungheria alla guida della presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. La fine del semestre ungherese è già salutata con un “grazie a Dio” dai detrattori (come il deputato europeo dei Verdi/ALE Daniel Freund su Euronewsleggi), mentre “il Presidente del Consiglio Meloni si è congratulata con il Primo Ministro Orbán per la riuscita della Presidenza semestrale di turno”, secondo il comunicato di Palazzo Chigileggi. Il premier ungherese ha cercato di sfruttare i mesi conclusivi della propria presidenza puntando ad accreditarsi come interlocutore privilegiato di Donald Trump, apparentemente con successo stando all’analisi della Heinrich-Böll-Stiftungleggi. Tuttavia, quando il nuovo presidente americano si insedierà, al posto di Viktor Orbán ci sarà Donald Tusk, per il quale i rapporti con Trump rappresenteranno solo una delle sfide da affrontare. Politico.eu ha analizzato in dettaglio i principali dossier sul tavolo della presidenza polacca, ricordando la coincidenza con “l’arrivo di un nuovo gruppo di commissari, il terzo anniversario dell’invasione su larga scala dell’Ucraina […], l’inaugurazione dello stesso Trump e un’elezione presidenziale in patria”. Il Primo ministro polacco, forte anche dell’esperienza in materia di affari comunitari (è stato Presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019) sembra consapevole di quanto lo attenda. Durante un incontro con la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha tra l’altro affermato: “Viviamo in un’epoca prebellica [sic!]. Siamo di fronte a una grande instabilità globale: il conflitto in Ucraina, a Gaza, in Georgia, in Siria e in Corea del Sud, la crisi parlamentare in Francia e in Germania, le conseguenze difficilmente prevedibili dei cambiamenti alla Casa Bianca, le imminenti cosiddette elezioni presidenziali in Bielorussia – tutto questo ci mostra come lavoreremo insieme per un’Europa sicura in un momento critico” (come riferito da Euractivleggi).
 
L’Unione europea è spesso criticata per l’eccesso di regolamentazione imposto agli operatori economici. Esplicito è stato, al riguardo, anche Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività (lo segnala il sito NetworkLexleggi), rapporto dal quale la Presidente von der Leyen intende ricavare le linee guida del suo programma di lavoro: presentando il nuovo Collegio dei Commissari al Parlamento europeo, ha infatti annunciato che la sua prima grande iniziativa sarà “una Bussola della competitività”, che “si baserà sui tre pilastri del rapporto Draghi” (“chiudere il divario d’innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, […] un piano comune per la decarbonizzazione e la competitività, […] l’aumento della sicurezza e la riduzione delle dipendenze”, come ha riferito Euracivleggi). Accanto al rapporto Draghi, anche quello predisposto da Enrico Letta sul rafforzamento del mercato unico orienterà l’azione della nuova Commissione (come auspica il pur severo commento di Friends of Europeleggi). Proprio il rapporto Letta contiene un suggerimento accolto con grande interesse. Si tratta del(l’ancora) poco noto “28° regime”, “un quadro giuridico separato delle norme europee che coesiste con i regimi giuridici nazionali degli Stati membri. Le parti con sede nell’UE possono scegliere di disciplinare le loro transazioni in tale quadro, anziché nel regime giuridico nazionale” (ne scrive il sito Code Européen des Affairesleggi). In realtà di 28° regime si parla da molto tempo (il Comitato economico e sociale espresse un parere in merito già nel 2011: leggi), ma ora il sostegno all’iniziativa viene anche dai settori economici, come evidenzia un articolo di DigitalEuropeleggi. Chi volesse maggiori dettagli sul concetto di 28° regime può consultare il sito Practical Lawleggi.
 
Sebbene chi le svolge sia conosciuto con tre diverse denominazioni (Ombudsman, Difensore civico o Mediatore europeo), le funzioni esercitate da questa importante figura istituzionale sono sconosciute alla grande maggioranza dei cittadini dell’Unione. Introdotto nell’ordinamento dell’UE dal Trattato di Maastricht (1992), il ruolo del Mediatore europeo è ora disciplinato dall’articolo 228 del TFUE (leggi). Come indica il DIZionario dell’Integrazione Europea, “compito del Mediatore è quello di raccogliere le denunce per i casi di cattiva amministrazione delle istituzioni o degli organi comunitari”, ponendosi come “supervisore e difensore dei diritti dei cittadini nei confronti delle Istituzioni comunitarie” (leggi). Il sito istituzionale del Mediatore europeo illustra con esempi pratici il tipo di attività svolte: visita. La nomina del Mediatore spetta al Parlamento europeo all’inizio della legislatura, e la procedura di selezione della prossima personalità chiamata a ricoprire la carica è attualmente in corso. Sei sono i candidati, tra i quali la plenaria del PE sceglierà il successore dell’uscente e stimata Emily O’Reilly. Propongono brevi accenni ai programmi individuali un articolo di Euronews (leggi) ed uno, dai toni più leggeri, di Politico.eu (leggi).
 
Come sospinto da un’onda di piena epocale, il successo nelle urne dell’arco di forze politiche che spaziano dal centro conservatore alla destra estrema contraddistingue ormai da qualche anno l’esito delle elezioni in molti paesi dell’UE. A livello del Parlamento europeo, ciò si traduce in una visibile effervescenza tra i gruppi più radicali (Conservatori e Riformisti europei, Patrioti per l’Europa, Europa delle Nazioni Sovrane – vedi la consistenza e il collocamento nell’emiciclo sul sito del PE) che hanno acquisito una visibilità sconosciuta in passato. Ciò nondimeno, la forza trainante a destra resta il Partito popolare europeo, uscito numericamente vincitore dalle elezioni del giugno scorso: come indicato in un’analisi del voto scaricabile dal sito dell’European Policy Centre (leggi) “il centrodestra (PPE) ha rafforzato la sua posizione di vertice, conquistando 15 seggi aggiuntivi”. Nonostante la posizione apparentemente confortevole del partito quale perno ineludibile della politica europea, la leadership del capogruppo Manfred Weber è contestata da molti parlamentari. Weber, già Spitzenkandidat per il ruolo di presidente della Commissione nel 2019 (con il PPE che si dichiarava “unito” nel sostenerlo: leggi dal sito del partito), fu accantonato e al suo posto venne eletta Ursula von der Leyen (tagliente il resoconto di Politico.euleggi), ma rimase presidente del gruppo parlamentare. Riconfermato ancora una volta nella carica quest’anno (leggi sul sito del Gruppo), è stato protagonista delle trattative per la composizione della nuova Commissione. Ma il suo operato, specialmente quando la situazione è sembrata bloccarsi sui veti reciproci di socialisti e popolari in merito alle nomine di Raffele Fitto e Teresa Ribera (ne ha riferito anche il magazine della Treccanileggi), ha lasciato un palpabile malcontento, come racconta Euractivleggi