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Dopo che le cronache della guerra in Ucraina erano scivolate nelle pagine interne dei giornali e nei servizi di coda dei telegiornali, stanno ora tornando in primo piano, focalizzandosi spesso però su un sentire collettivo sempre meno interessato a questo conflitto d’altri tempi, con trincee fangose e sortite di fanti. L’ottimismo dei primi mesi successivi all’aggressione russa è ormai svanito e sembrano lontani gli appelli rivolti addirittura a “non umiliare Putin” (ne parlava anche l’ANSA nel luglio 2022 – leggi), visto che qualcuno riteneva che proprio quello fosse un obiettivo degli Stati Uniti (come suggerito da un articolo di Affari Internazionali – leggi). Ora il vento è cambiato, e sempre più numerose sono le critiche all’approccio occidentale, in particolare alla scarsa efficacia delle sanzioni (ne scrive il sito Gli Stati Generali: leggi). In parallelo, si comincia a riflettere su un futuro dopoguerra facendo astrazione dalla situazione sul campo. Alcune analisi tecnico-giuridiche (come quella pubblicata su European Papers – leggi) già sembrano preludere alla stesura di un vero e proprio trattato di pace. Altre riflessioni, più politiche, sono tuttavia più prudenti: esaminando quelli che ora appaiono come errori di USA ed UE, concludono (come fa un articolo di Geopolitica.info – leggi) che “la fine della guerra, quando ciò accadrà, difficilmente riuscirà a sedare il confronto tra la Russia e il resto dell’Europa”.
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Anche con la più buona volontà, è praticamente impossibile analizzare una situazione facendo completa astrazione dal nostro retroterra culturale. Per esempio, se parliamo del conflitto tra Israele e Hamas, contestualizziamo il discorso in base alle nostre conoscenze storico-geografiche della vasta regione che designamo come “Medioriente”. Modificare ogni tanto i nostri parametri di riferimento può essere però utile ed addirittura illuminante. È quanto ci consente di fare un articolo di grande interesse e chiarezza espositiva pubblicato da un ex diplomatico di Nuova Delhi sul New Indian Express (leggi) dove il Medioriente è designato – logicamente per un abitante del subcontinente indiano – come “Asia occidentale”. Questo dettaglio è indicativo dell’originalità del punto di vista dell’autore che affronta il tema della costruzione di un nuovo ordine mondiale citando bensì un pensatore occidentale (Gramsci), ma sviluppando un ragionamento che considera il “multilateralismo in terapia intensiva” e la contrapposizione “tra democrazia e autoritarismo” un concetto che non suscita interesse.
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È interessante e forse sorprendente che Giorgia Meloni, limpidamente nazionalista, ami parlare di integrazione dei Balcani occidentali nell’UE preferendo il termine di “riunificazione” piuttosto che quello di “allargamento” dell’Europa (lo ha ripetuto anche durante la recente visita a Belgrado, come riportato dal sito del Governo: leggi). Resta il fatto che, comunque lo si chiami, il processo è in una fase di estrema criticità, non tanto per gli aspetti tecnico-giuridici dei negoziati, ma per la conclamata impossibilità di procedere a nuovi allargamenti senza una modifica dei Trattati (il tema è toccato in un’ampia disamina del problema più generale della riforrma pubblicata, in inglese, sul sito Verfassungsblog: leggi). Poiché mettere mano ai Trattati è argomento assai delicato e che richiede tempi lunghi, sta incontrando crescente consenso il piano sostenuto da Ursula von der Leyen, che preconizza un accesso al mercato unico europeo ben prima dell’effettiva adesione dei paesi candidati (la presentazione del piano è sul sito della Commissione: leggi). Per i Balcani occidentali l’ipotesi è allettante, come testimonia un’intervista del Ministro degli esteri della Macedonia del Nord, di cui riferisce l’agenzia Nova: leggi.
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Dialoghi Europei ha in programma per il prossimo futuro un evento dedicato alle problematiche del lavoro, delle sue dinamiche e della sua giusta retribuzione. Uno degli aspetti che non mancherà di essere affrontato riguarda la carenza di alcune professionalità e l’esigenza per molte aziende di ricorrere a manodopera proveniente da paesi terzi: i cosiddetti click-day di questi giorni hanno ricevuto notevole attenzione sui mezzi di comunicazione. A livello europeo esiste fin dal 2011 una direttiva (2011/98/UE – leggi) che si propone di regolamentare l’afflusso di lavoratori dall’estero (un quadro della situazione in materia è disponibile sul sito del Parlamento europeo: leggi), ma appare ormai inadeguata ed è infatti oggetto di revisione. Ovviamente il tema non è direttamente connesso a quello dei flussi migratori al di fuori dei canali ufficiali, eppure sembrerebbe inevitabile esaminare i due fenomeni congiuntamente per individuare soluzioni che aiutino a risolvere problemi complementari. Molti utili spunti di riflessione sono offerti da un articolo pubblicato sul sito Transform! del Partito della Sinistra Europea: leggi.
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Parallelamente agli aspetti specifici della sua influenza sul mercato del lavoro, un evento complesso ed epocale come quello delle migrazioni va preso in considerazione anche in base all’incidenza che può avere sulla situazione demografica di alcuni dei paesi verso i quali tali migrazioni sono dirette. All’inizio di quest’anno la Commissione europea ha pubblicato un rapporto (leggi) sull’impatto dei cambiamenti demografici. Il documento ha fondamentalmente confermato come la tendenza all’invecchiamento e al calo della popolazione sia ormai prevalente a livello continentale, sebbene non si manifesti in modo uniforme in tutti gli Stati membri. Questa tendenza, declinata in particolare con riferimento alla situazione italiana, è stata esaminata sul sito dell’Istituto di ricerca Eurispes (leggi), giungendo alla conclusione che la risposta necessaria “è l’accoglienza nei nostri territori di quote di migranti ampie e adeguatamente programmate”. Quanto velleitarie siano invece alcune iniziative caldeggiate in particolare da chi teme contaminazioni dell’identità nazionale, è testimoniato da un’analisi dei risultati prodotti negli ultimi anni in Serbia da politiche “nataliste”, pubblicata da Balkan Insight: leggi.
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Nell’ottobre 2021, la Corte costituzionale di Varsavia, i cui membri sono di fatto di nomina politica, ha emesso una sentenza nella quale asserisce che la legge polacca prevale sulle normative europee (ne scrisse il Post – leggi; un’analisi giuridica è proposta dal europeanlawblog – leggi). È questo uno dei molti casi che hanno scavato un solco tra Unione europea e Polonia, con gravi e motivate accuse di violazione dello Stato di diritto da parte delle autorità di Varsavia. La conseguenza più diretta di tale violazione è stato il blocco dei fondi del PNRR (ne ha riferito il Sole24Ore: leggi), ma è probabile che anche la recente vittoria elettorale delle opposizioni guidate da Donald Tusk sia stata influenzata dalla questa situazione. Che il rispetto dello Stato di diritto non sia nell’interesse di una parte, bensì di tutti i cittadini è ora plasticamente dimostrato dal dibattito avviato proprio in Polonia su un’eventuale incriminazione del Governatore della Banca nazionale Adam Glapiński, che avrebbe sacrificato l’indipendenza del proprio operato alle esigenze dell’ex partito di maggioranza (PiS), danneggiando l’economia nazionale. È stata la Presidente della BCE Christine Lagarde in prima persona a scrivere a Glapiński per sottolineare come la stessa BCE garantisca l’indipendenza dei Governatori delle banche centrali nazionali e sarebbe pronta a difenderlo nell’eventualità il Parlamento polacco intendesse perseguirlo. Ha scritto in merito Euractiv: leggi.
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