Da un punto di vista geografico, la penisola anatolica si pone come terra di congiunzione tra le due regioni oggi investite dai più gravi e sanguinosi eventi bellici in atto: a nord, sulle sponde settentrionali del Mar Nero, il conflitto tra Russia e Ucraina; a sud, a poche centinaia di chilometri dalla frontiera turco-siriana, la guerra tra Israele e Hamas. È quindi ben comprensibile che il Presidente Erdoğan cerchi di sfruttare tali situazioni per perseguire i propri obiettivi strategici, riconducibili tutti al tentativo di imporre la Turchia come potenza regionale (e neo-ottomana). Si può leggere in questo senso il riavvicinamento al fronte occidentale con il via libera all’adesione della Svezia alla NATO e con l’applicazione di alcune misure sanzionatorie nei confronti della Russia. Come ha scritto Euractiv.com, non per questo vengono davvero intaccati i rapporti con Mosca (leggi). Uno dei problemi fondamentali della Turchia è l’approvvigionamento energetico (vi ha dedicato una ricerca approfondita Carnegie Europe: leggi) e il paese non può privarsi delle forniture russe. Tuttavia, una potenza regionale, per essere tale, non può guardare solo al proprio cortile: ed ecco che Ankara sposta la propria visione più a sud, fino al Corno d’Africa. Firmando un nuovo Patto formale con la Somalia (di cui parla il sito del pan-africano Institute for Security Studies: leggi), Erdoğan è riuscito a raggiungere il duplice risultato di assicurarsi il possibile sfruttamento di giacimenti energetici al largo delle coste somale e di porsi come ineludibile protagonista nel Golfo di Aden, porta del Mar Rosso. Alla firma del Patto ha dedicato una breve analisi Nigrizia: leggi.
|