News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 07/07

Nella Relazione sul futuro del mercato unico, preparata da Enrico Letta e presentata in aprile al Consiglio europeo (disponibile sul sito dell’Institut Delorsleggi) si afferma senza mezzi termini che non solo la politica di coesione è parte integrante del quadro complessivo in cui si colloca lo stesso mercato unico, ma anzi “è stata introdotta come [suo] elemento fondamentale”. Tuttavia, come sostiene un recente articolo de Il Mulino, “le politiche di coesione e, più in generale, le tematiche legate alle diseguaglianze paiono oggi avere perso attrattiva”. Inoltre “le politiche di coesione hanno subito una torsione […]; i fondi […] sono stati impiegati per esigenze impellenti […] come la lotta alla pandemia oppure alla sofferenza energetica, fino ad arrivare alla Strategia per l’Industria della Difesa europea” (leggi). Certamente, uno dei compiti più impegnativi della prossima Commissione sarà proprio quello di mettere mano ad una riforma della politica di coesione, nella consapevolezza che sono i Trattati ad imporre all’Unione di sviluppare un’“azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale” (TFUE art. 174 – leggi). Importanti contributi alla discussione su una tale riforma sono stati proposti nelle ultime settimane dalla Bertelsmann Stiftung (leggi), che invoca la necessità di “chiarire la […] missione, risolvere i problemi di finanziamento, migliorare la progettazione delle […] politiche e [delle] sinergie”, e dal Jacques Delors Centre (leggi), secondo il quale due sono i fondamentali problemi della coesione: “spesso è indirizzata verso luoghi sbagliati e raggiunge le persone sbagliate”.

 

Milano Finanza ha recentemente riproposto in italiano (leggi) un articolo del Wall Street Journal dedicato alle migrazioni illegali in Europa, con un focus particolare sul Regno Unito, dove il problema – come altrove – è da anni al centro del dibattito politico e lo è stato ancor di più durante la campagna elettorale. Ancora una volta tutti i candidati hanno sostenuto di avere le ricette giuste per affrontare il fenomeno, ma difficilmente le loro promesse in materia avranno davvero convinto molti elettori. L’attraversamento della Manica da parte di piccole imbarcazioni cariche di migranti è fenomeno intenso e quotidiano, destinato in prospettiva ad incidere sul mercato del lavoro e sull’intera economia del paese. Un ricco compendio di dati in materia è fornito dal Migration Observatory dell’Università di Oxford (leggi). Naturalmente, l’altra faccia spesso trascurata delle migrazioni è l’emigrazione dai paesi di origine. Colpisce quanto emerso dai risultati del censimento eseguito in Albania nel 2023: rispetto al 2011, il paese risulta aver perso oltre 400.000 abitanti, pari ad una contrazione del 14%. “Nella sola estate del 2022, circa 12.000 albanesi hanno fatto la traversata dalla Francia al Regno Unito su piccole barche”, come riferisce un’analisi del censimento pubblicata da Balkan Insight: leggi.

 

Il ritmo vertiginoso degli eventi di natura geopolitica succedutesi negli ultimi anni rischia di alterare la percezione della scansione temporale in cui tali eventi si collocano.  Era il 27 ottobre 2022 (meno di un anno prima del barbaro attacco di Hamas e dell’invasione di Gaza) quando Libano ed Israele firmarono un accordo sulla delimitazione delle acque territoriali e delle rispettive zone economiche esclusive. “L’accordo è stato descritto dai media internazionali come un risultato storico che aumenterà la sicurezza, la stabilità e la prosperità della regione”: così commentò il Tahrir Institute for Middle East Policy, centro studi indipendente con sede a Washington (leggi). Quanto vicina sia oggi la guerra tra i due paesi è ben evidenziato dall’analisi della stampa araba dell’ultima settimana di giugno, proposta dalla Fondazione Oasisleggi. E la situazione non è certo migliore per quanto concerne la stabilità della regione se si guarda alle minacce rivolte da Hezbollah a Cipro (come riportato da Euronewsleggi), rafforzate dalle prese di posizione turche, di cui ha scritto l’ADNKronosleggi. Naturalmente, la levata di scudi nei confronti di Nicosia è anche un modo per parlare a suocera affinché nuora intenda: non va dimenticato che, come ricorda un articolo del Manifesto, “[le basi aeree] di Akrotiri e Dhekelia sono l’ultimo avamposto del Regno unito in Medio Oriente” (leggi).

 

Al di là di quelli che potranno essere gli esiti finali della (ri)composizione dei gruppi politici al Parlamento europeo dopo le elezioni del 9 giugno, è giocoforza constatare le difficoltà di aggregazione delle varie forze che si possono qualificare di destra o destra estrema. Ne è testimonianza la creazione, su iniziativa di Viktor Orbán, dei Patrioti per l’Europa (ne ha parlato anche SkyNewsleggi), pochi giorni dopo l’annuncio che mai e poi mai gli eletti di Fidesz, partito del Presidente ungherese, avrebbero aderito al Gruppo dei conservatori e riformisti (ECR – presieduto da Giorgia Meloni), reo di avere accolto l’Alleanza per l'Unione dei Romeni (AUR). Secondo il filogovernativo Hungary Today “Il partito ultranazionalista rumeno AUR è noto per le sue dichiarazioni e provocazioni anti-ungheresi, nonché per i suoi attacchi costanti contro la minoranza ungherese in Romania” (leggi). È del resto praticamente inevitabile che il ricorso a slogan nazionalisti susciti reazioni uguali e contrarie tra chi si sente bersaglio di tali slogan. Il caso dell’Ungheria è paradigmatico, vista la dimensione della diaspora ungherese nei paesi limitrofi e la retorica nazionalista che ha spesso generato negli ultimi anni. (Parla della diaspora ungherese un articolo di Altrenotizieleggi). Per chi volesse approfondire la situazione delle minoranze (non solo ungheresi) e il loro rapporto con l’idea di Europa quale possibile patria comune, è disponibile sul sito dell’Università di Trieste l’interessante testo del prof. Alberto Gasparini sul “Significato di Europa per le minoranze e le maggioranze etniche”: leggi.

 

Dopo la slavizzazione dei Balcani (iniziata nel V-VI secolo) e la progressiva assunzione di una configurazione statuale, la Bulgaria non sviluppò particolari rapporti con la Russia, ma guardò molto più all’impero bizantino, con il quale la vicinanza geografica fu presto motivo di contese territoriali. A maggior ragione, non si può dire che vi fossero particolari legami tra russi e bulgari durante i cinque secoli di dominio ottomano, fatta salva l’adozione dell’alfabeto cirillico e la comune fede ortodossa (i turchi non imposero la conversione all’islam se non ad una piccola parte della popolazione). Fu solo verso la fine del XIX secolo e l’inizio del declino della Sublime Porta che la Russia – mossa da interessi strategici – si fece paladina della libertà bulgara. (Per un compendio della storia bulgara può essere utile il sito Arché Travelleggi.) Da allora persiste tra i due popoli un rapporto complesso e di certo non lineare, come evidenzia l’interessante analisi proposta dal sito Progressivaleggi. Queste premesse aiutano forse a comprendere la situazione attuale, dove la laboriosa ricerca di una maggioranza parlamentare dopo le recenti elezioni è condizionata dalla contrapposizione tra forze pro- ed anti-russe, come illustra un articolo di Euractivleggi. Per chi volesse approfondire l’argomento dell’influenza russa in Bulgaria, sarà di grande aiuto il breve saggio pubblicato dalla rivista Araucaria dell’Università di Siviglia: leggi.