Quando Mario Draghi definì “dittatore” Recep Tayyip Erdoğan, molte sopracciglia si sollevarono, sia per la gravità dell’affermazione, sia per la caratura del bersaglio. Solo il prestigio acquisito durante i lunghi anni di carriera istituzionale di chi pronunciò tale epiteto permise una rapida archiviazione dell’episodio a livello diplomatico. D’altra parte nessuno contesta il fatto che la Turchia sia un paese democratico e che Erdoğan sia stato eletto con un voto popolare formalmente corretto. Troppo spesso si dimentica tuttavia che la democrazia non è solo l’individuazione di una maggioranza, ma soprattutto la tutela delle minoranze. Ritorna alla mente e non sorprende più la definizione di Draghi nel leggere il trattamento riservato pochi giorni fa ad una decina di giornalisti kurdi, arrestati senza che fossero loro contestate accuse specifiche, come riportato in inglese sul sito della European Federation of Journalists (leggi) e, più succintamente in italiano, sul portale di Italia sera: leggi.
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