News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 01/12/24

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi
Il grande interesse suscitato dalla conferenza organizzata da Dialoghi Europeisu “L’America e il mondo secondo Trump: cosa cambia per l’Europa?” suggerisce di aprire questa rassegna stampa proponendo a chi volesse approfondire l’argomento la lettura di alcuni articoli apparsi su organi di informazione internazionali. Ben lungi dall’essere esaustiva, la selezione che segue punta a presentare alcune delle riflessioni formulate a diverse latitudini e corrispondenti alle sensibilità e agli interessi prevalenti in diversi paesi. Una breve citazione liberamente tradotta dall’articolo in questione accompagna la segnalazione.
Tass (agenzia di stampa russa): “È improbabile che Trump offra a Mosca un’alleanza contro Pechino: «Sarebbe assolutamente irrealistico nei confronti della Cina»” (leggi l’articolo);
China Daily (quotidiano cinese in lingua inglese): “Va notato che molti presidenti statunitensi, una volta insediati, hanno dato priorità a misure pratiche rispetto alle loro irrealizzabili promesse elettorali” (leggi l’articolo);
Indian Express (quotidiano indiano in lingua inglese): “L’India dovrà destreggiarsi abilmente nel mutevole contesto politico ed economico globale. Il governo (…) deve rendere il paese una destinazione attraente per gli investimenti e sfruttare le opportunità che le mosse commerciali di Trump potrebbero creare” (leggi l’articolo);
Valor (notiziario economico brasiliano del gruppo Globo): “Lo scenario interno, impegnativo già da qualche tempo, è diventato ancora più complicato con l’elezione di Trump e la prospettiva che il presidente eletto degli Stati Uniti attui le sue promesse elettorali” (leggi l’articolo);
BusinessWorld (quotidiano economico delle Filippine): “ridurre l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società negli Stati Uniti dall’attuale 21% al 15% (il fulcro del piano economico di Trump) comporterà per le 100 maggiori aziende statunitensi […]una riduzione fiscale annua stimata pari a 48 miliardi di dollari” (leggi l’articolo);
Sidney Morning Herald (quotidiano australiano): “I leader australiani si stanno preparando a dure battaglie sugli accordi di difesa e sulle guerre commerciali” (leggi l’articolo)
Futuro Europa (sito europeista italiano) “Bloomberg stima che, se gli USA applicassero dazi del 10% all’importazione di Porsche e Mercedes, le due case registrerebbero minori introiti per 2,4 miliardi di euro. Ovviamente con ulteriori danni all’arrancante locomotiva tedesca e quindi alla crescita europea.” (leggi l’articolo)
Linkiesta (quotidiano online italiano): “Otto anni fa, era il 2016, Donald Trump sconfisse Hillary Clinton e mise fine all’era clintoniana (…) il 5 novembre 2024, Trump ha chiuso definitivamente anche l’era obamiana” (leggi l’articolo)
 
In Grecia, più che in qualsiasi altro paese dell’Unione, le famiglie politiche attive sulla scena nazionale tendono ad essere rappresentate da vere e proprie dinastie: i Papandreu, i Karamanlis, i Mitsotakis (un articolo del Financial Timesaveva dettagliato i legami di parentela in vista delle elezioni del 2015: non poteva prevedere che qualche anno dopo un altro Mitsotakis, Kyriakos, sarebbe diventato l’attuale capo del Governo: leggi). Situazioni di questo tipo generano curiose coincidenze. Ne è esempio la decisione di Kyriakos Mitsotakis di espellere dal partito Nea Dimokratia l’ex Primo ministro Antonis Samaras, dopo che già nel 1992 quest’ultimo “era stato sollevato dall’incarico di ministro degli Esteri” dall’allora premier Konstantinos Mitsotakis, padre di Kyriakos (come racconta l’ANSAleggi). L’espulsione di Samaras non va comunque ricondotta ad una faida familiare, ma piuttosto ad un dissidio politico all’interno del partito conservatore greco (anche se il passato pesa, come spiega ToVimaleggi). Il casus belli che ha portato alla situazione attuale concerne il punto sempre delicato dei rapporti con la Turchia, che il Primo ministro in carica sta da tempo cercando di ricucire: come indicato da Politico.eu (leggi) “negli ultimi 18 mesi, Mitsotakis ed Erdoğan si sono incontrati per sei volte”. Della situazione sorprendentemente positiva delle relazioni tra Atene ed Ankara hanno scritto sia il sito della radiotelevisione turca TRT (leggi) sia il quotidiano greco Kathimerini (leggi).
 
Subito dopo l’allontanamento dal governo del ministro delle Finanze Lindner, preludio della caduta dell’esecutivo Scholz e dell’indizione di nuove elezioni da parte del Presidente Steinmeier (la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha riassunto i passi procedurali: leggi), Il Post ha pubblicato una pacata ma impietosa analisi delle gravi difficoltà che sta incontrando l’economia tedesca, titolando “La crisi del governo tedesco è una crisi economica” (leggi). Da un’angolazione diversa, anche il sito conservatore ed euroscettico The Critic giunge ad una conclusione analoga, decretando la morte del modello industriale tedesco, identificato nel pluridecennale slogan della Audi Vorsprung durch Technik o Progresso attraverso la tecnologia (leggi). Tra le cause delle difficoltà che incontra l’ex locomotiva d’Europa, c’è anche la norma che “prevede che il deficit statale non può eccedere lo 0,35 per cento del Pil” (come scrive lavoce.infoleggi), privando così lo Stato della possibilità di contrarre extra debito per rilanciare l’economia. Paradossalmente, in una situazione opposta si trova un altro paese che avrà tra poco un nuovo Governo. È l’Irlanda, andata alle urne il 29 novembre, dove la battaglia elettorale si è giocata sui progetti dei diversi partiti circa il modo di spendere l’ingente avanzo di bilancio (ne ha scritto la Reuters – leggi), appena cresciuto di 14 miliardi di euro a seguito di una sentenza della Corte di Giustizia che ha intimato a Dublino di riscuotere tasse non pagate in passato dalla Apple (come spiega Politico.euleggi).
 
È ben nota la vicenda dei “cancellati”, le 25671 persone residenti in Slovenia al momento della dichiarazione di indipendenza del 1991 che non avevano richiesto la cittadinanza ed erano stati espunti dai registri della popolazione e finiti per decenni in un limbo anagrafico-amministrativo (si è scusato con loro il Presidente Borut Pahor trent’anni dopo, come ricorda il Consiglio d’Europaleggi). Qualcosa di simile, ma apparentemente con un più mirato obiettivo etnico-politico, è in atto in Serbia. Già più di tre anni fa Il Piccolo aveva segnalato che “Migliaia di albanesi nel sud della Serbia [venivano] cancellati dagli elenchi dei residenti” (articolo dell’8 agosto 2021, non disponibile in libera lettura). Da allora la situazione non è certo migliorata, come segnala una risoluzione del Parlamento europeo del febbraio di quest’anno che “esprime preoccupazione per la «passivizzazione» degli indirizzi residenziali di alcune categorie di cittadini” (leggi). Cosa succeda sul terreno e quali siano le conseguenze per gli interessati è illustrato da un articolo di DeutscheWelleleggi. Al fenomeno è dedicata un’articolata ricerca scaricabile dal sito del Max Plank Institute (leggi). Nella sua recente (30 ottobre) relazione annuale sullo stato di avanzamento del processo di adesione della Serbia, anche la Commissione ha manifestato preoccupazione per quanto avviene nelle regioni del paese in cui sono presenti minoranze albanesi (leggi, in particolare a pag. 43, “Tutela delle minoranze”). Inevitabilmente, la questione ha cessato di essere solo interna: Tirana è scesa ora in campo per difendere i diritti degli albanesi di Serbia, come riferisce BalkanInsightleggi.
 
In molti paesi europei è stato solo con l’attacco di Mosca all’Ucraina del 22 febbraio 2022 che si è presa coscienza di quanto grande fosse la dipendenza dalle fonti energetiche russe (i dati sono quelli pubblicati in quei giorni da Wiredleggi). È allora iniziata una corsa alla diversificazione, che ha portato ad esempio l’Italia a fare di Algeria ed Azerbaijan i propri principali fornitori di gas (“Il panorama energetico italiano dopo l’invasione russa dell’Ucraina” è il titolo di uno studio dal think tank italiano Ecco e della Friedrich Ebert Stiftungleggi). Il caso dell’Azerbaijan in particolare è molto interessante, in quanto tra Roma e Baku si è ora stabilita una sorta di reciproca dipendenza: i proventi delle esportazioni verso l’Italia sono cruciali per lo stato caucasico quanto i prodotti energetici importati lo sono per il nostro paese (come evidenzia un articolo del sito Materia Rinnovabile che commenta (leggi) un altro recentissimo studio di Ecco (leggi): “l’Azerbaijan esporta verso l’Italia il 57% del proprio petrolio (…) e circa il 20% della sua produzione di gas”). Se i rapporti italo-azeri sono assai positivi, non così si può dire di quelli tra Azerbaijan e Francia. Gli storici legami di amicizia di Parigi con l’Armenia (riaffermati di recente, come riferito da Armenpressleggi) sono osteggiati da Baku che, accusando la Francia di persistente colonialismo, alza i toni di una contesa già molto aspra (descrive la situazione un articolo dello IARI, dalla sintassi incerta ma ricco di informazioni: leggi).