È ben nota la vicenda dei “cancellati”, le 25671 persone residenti in Slovenia al momento della dichiarazione di indipendenza del 1991 che non avevano richiesto la cittadinanza ed erano stati espunti dai registri della popolazione e finiti per decenni in un limbo anagrafico-amministrativo (si è scusato con loro il Presidente Borut Pahor trent’anni dopo, come ricorda il Consiglio d’Europa: leggi). Qualcosa di simile, ma apparentemente con un più mirato obiettivo etnico-politico, è in atto in Serbia. Già più di tre anni fa Il Piccolo aveva segnalato che “ Migliaia di albanesi nel sud della Serbia [venivano] cancellati dagli elenchi dei residenti” ( articolo dell’8 agosto 2021, non disponibile in libera lettura). Da allora la situazione non è certo migliorata, come segnala una risoluzione del Parlamento europeo del febbraio di quest’anno che “ esprime preoccupazione per la «passivizzazione» degli indirizzi residenziali di alcune categorie di cittadini” ( leggi). Cosa succeda sul terreno e quali siano le conseguenze per gli interessati è illustrato da un articolo di DeutscheWelle: leggi. Al fenomeno è dedicata un’articolata ricerca scaricabile dal sito del Max Plank Institute ( leggi). Nella sua recente (30 ottobre) relazione annuale sullo stato di avanzamento del processo di adesione della Serbia, anche la Commissione ha manifestato preoccupazione per quanto avviene nelle regioni del paese in cui sono presenti minoranze albanesi ( leggi, in particolare a pag. 43, “ Tutela delle minoranze”). Inevitabilmente, la questione ha cessato di essere solo interna: Tirana è scesa ora in campo per difendere i diritti degli albanesi di Serbia, come riferisce BalkanInsight: leggi.
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