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Proroga balneari al 2027 approvata dall'Europa?

Per gentile concessione del gruppo "Nord-Est Media"

Balneari: accordo fatto con la Commissione europea che approva l'ennesima proroga generalizzata delle concessioni fino al 2027, cioè quasi 20 anni dopo aver aperto la prima procedura di infrazione sullo stesso tema contro l'Italia? Ammetto che non riuscivo a crederci ed infatti, nonostante le dichiarazioni in questo senso del governo, tutti gli indizi sembrano indicare che non sia proprio così. Innanzitutto, non è difficile scoprire che l’accoglienza positiva del provvedimento del governo da parte di Bruxelles si limita, fino a prova contraria, ad una semplice dichiarazione di un portavoce della Commissione europea che per di più ha precisato che nessuna decisione sarà assunta, al momento, riguardo alla procedura di infrazione aperta, ormai alle soglie del ricorso alla Corte di Giustizia, che quindi resta aperta. Infatti, basta scorrere il sito della Commissione europea per scoprire che, non solo non c’è una decisione, ma nemmeno un semplice comunicato stampa, e addirittura la dichiarazione del portavoce in questione non è riportata nella pagina del Commissario europeo competente. Non occorre sottolineare che la dichiarazione del portavoce ha valore giuridico pari a zero!

Cosa può significare? Molto probabilmente che gli uffici tecnici della CE non sono stati coinvolti o non erano d’accordo. Ne deriva che il plauso della Commissione europea in realtà non è altro che un assist al nostro governo da parte di un commissario europeo non più nei suoi pieni poteri, perché in scadenza, che sembra rinviare il problema a dopo la scadenza del governo Meloni, ma soprattutto al suo successore, e ovviamente non può impegnare né gli uffici delle direzioni Mercato interno e Concorrenza né i futuri Commissari europei, tanto più che la procedura di infrazione continua a produrre i suoi effetti e necessita di una decisione finale di chiusura in caso di ottemperanza da parte dello stato membro oppure, in caso contrario, del ricorso contro lo stato membro con richiesta di comminazione di una (pesante) sanzione pecuniaria.

Insomma, al di là della pura comunicazione – quella si, oggetto di accordo tra Roma e Bruxelles (ma forse semplicemente con il Gabinetto del commissario uscente, Thierry Breton) – saremo per l'ennesima volta “sorvegliati speciali”, in questa ed altre partite (non c’è bisogno di ricordare le regole di bilancio, ma altri esempi non mancherebbero). Troppe volte infatti abbiamo preso impegni sistematicamente disattesi, accampando le scuse più inverosimili o cambiando versione e strategia almeno ad ogni cambio di governo. Basti ricordare che la Commissione europea, fidandosi delle promesse dell’Italia aveva già archiviato, nel 2012, la procedura d’infrazione fotocopia di quella attuale, aperta nel lontano 2008, autorizzando proroghe fino al 2015 in modo che ci fosse il tempo per riordinare il settore e avviarsi ad effettuare le gare. Ma non è stato fatto niente entro il 2015, e nemmeno entro il 2020 o il 2023. Perché dunque lamentarsi, o addirittura stupirsi, se l’anno scorso la CE ha riaperto la procedura d’infrazione, peraltro dando per l’ennesima volta l’opportunità di dialogare e concordare un percorso, ma seriamente stavolta!

Ora la bomba ad orologeria rischia di scoppiare in mano a Raffaele Fitto, se come sembra sarà lui il nostro Commissario europeo, subito dopo la fine del governo Meloni. E pensare che vari commenti hanno sventolato lo spauracchio del ricorso della CE alla Corte di Giustizia europea (ai sensi dell’art.258 TFUE) come punto di non ritorno e di probabile attribuzione non solo di una pesante sanzione pecuniaria, ma anche di una penale per ogni giorno di ritardo nell’adeguarsi alle disposizioni europee. Ma in realtà non è così: multa e penale per il ritardo in realtà sarebbero potute scattare solo dopo la seconda sentenza della Giustizia europea, a seguito di nuovo ricorso della Commissione europea che constata la mancata volontà dello stato membro di adeguarsi. In questo caso l’infrazione non era nemmeno ancora arrivata sul tavolo del Tribunale di Strasburgo: se eravamo dalla parte del giusto, come parecchi politici italiani hanno sostenuto, perché non abbiamo accettato di confrontarci in quella sede? Forse il dossier poteva essere gestito meglio?

Giorgio Perini

 

Immagine: Sharon Molerus