News

Mercato unico UE mai così in pericolo

Per gentile concessione de Il Piccolo

Il primo gennaio abbiamo festeggiato il trentesimo anniversario della nascita, nel 1993, del mercato unico europeo. Anzi, della trasformazione del mercato interno europeo in mercato unico, come amava sottolineare Mario Monti, che fu commissario europeo con delega proprio al mercato interno e poi alla concorrenza. Se è giusto sottolinearne i successi e le opportunità per le imprese europee, grandi o piccole che siano, con sede nei grandi stati membri così come nei più piccoli, non va sottaciuto che mai come in questo momento è stato in pericolo!

Infatti ciò che manca, a mio avviso, nell’acceso dibattito (tra l'altro all’ordine del giorno anche del recentissimo incontro a Roma tra la presidente del Consiglio Meloni e la presidente della Commissione europea, Von der Leyen) sulla necessità di sostegno alle imprese europee  - in particolare a seguito dell'IRA (Inflation Reduction Act), il gigantesco piano di finanziamenti degli Stati Uniti voluto dall’amministrazione Biden, ma più in generale con riguardo ai crescenti interventi sull'economia di vari paesi extraeuropei - è proprio la percezione dello stretto rapporto intercorrente tra sussidi alle imprese e buon funzionamento del mercato unico UE. In altri termini, una scarsa consapevolezza di essere al bivio tra rispondere alle sfide globali, rischiando però di compromettere il mercato unico UE, o difendere quest’ultimo, perdendo competitività rispetto al resto del mondo, soprattutto USA e Cina.

Si parla infatti di un ulteriore allentamento delle norme UE sugli aiuti di stato, ben più generoso di quanto già avvenuto a seguito della pandemia e dell’invasione dell'Ucraina, e dell’istituzione di una sorta di “Recovery   Fund” con risorse UE, per proteggere quegli stati, come l'Italia, che a causa del loro debito pubblico, hanno una capacità di manovra molto limitata, che farebbe soccombere le loro imprese di fronte a quelle tedesche o francesi. Ma non va dimenticato che le regole europee sugli aiuti di stato non sono fine a sé stesse. Sono state pensate in funzione di stampella del mercato unico, per evitare l’aggiramento del divieto di dazi e barriere normative, mediante il sovvenzionamento diretto delle imprese, oltre che come misura a tutela della concorrenza (e, a dirla tutta, anche in funzione macroeconomica, a tutela della quotazione della moneta unica, ma questa è più sottile). Più le “ammorbidiamo”, più rischiamo che il mercato interno non sia più “unico” ma premi gli stati più forti (o più aggressivi) che decidano di “dopare” le proprie imprese o, più probabilmente, alcuni selezionati “campioni nazionali”.

Ecco perché la politica industriale degli stati membri UE incontra precisi limiti, non solo nel sovvenzionare le imprese, ma anche nel fare lo stato imprenditore (da qui i dubbi ricorrenti su come vengono condotte, anche in questo momento, le operazioni ex ILVA e ITA-Alitalia). Quello che non dobbiamo temere è invece uno scontro con gli USA davanti al WTO (l'Organizzazione Mondiale del Commercio), visto che il piano di Biden già ne infrange platealmente le regole, del resto molto difficili da far rispettare, come l'Europa ha più volte sperimentato!

Mai come in questo caso, non si possono invocare formule magiche né soluzioni univoche, ma occorre invece grande equilibrio nel soppesare pro e contro. Personalmente ritengo che il nostro Paese abbia più da perdere da una concorrenza selvaggia tra stati membri dell'UE che dall’aggressività delle economie statunitense ed orientali e che pertanto debba sì puntare a calibrare le regole UE alla luce del quadro di riferimento internazionale e delle attuali tensioni commerciali a livello globale, ma di certo senza buttarle alle ortiche!

Giorgio Perini