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La fuga di cervelli non è sempre un male

Per gentile concessione del "Gruppo NEM - Nord Est Media"

Capisco che le esigenze di comunicazione spesso impongano la semplificazione, ma continuo a stupirmi quando sento il leitmotiv “evitiamo la fuga dei cervelli”, evocato anche nei giorni scorsi in un convegno a Trieste, soprattutto se accompagnato dall’intento di “trattenere qui il meglio dei nostri giovani”, a mio avviso sbagliato per i motivi che proverò ad illustrare.

Innanzitutto non mi sembra giusto frenare l’encomiabile desiderio di tanti giovani di fare un’esperienza all'estero, e questo per tante ragioni: la maggiore conoscenza delle lingue che ne deriva, la capacità di immedesimarsi nei cittadini di altri paesi (talvolta altri continenti) e di altre culture, se non di confessioni diverse e quindi di facilitare il dialogo interculturale e interreligioso, la possibilità di farsi ambasciatori dei nostri territori con la loro cultura e le loro eccellenze, spesso sfatando luoghi comuni che ci penalizzano, ed infine proprio l’opportunità di arricchire ulteriormente la propria professionalità, cosa che difficilmente sarebbe possibile senza muoversi da casa. Tutte qualità da usare, auspicabilmente, non solo per affermazione personale, ma anche da mettere al servizio del proprio Paese, o come lo si voglia chiamare (Patria? Nazione?). Tutto ciò per evidenziare che “il meglio dei nostri giovani” è con ogni probabilità rappresentato proprio da quelli che hanno oltrepassato i confini nazionali per fare un’esperienza di studio o di lavoro all'estero: i cosiddetti “espatriati”. Non “nuovi emigrati”, come qualcuno si ostina a chiamarli, rasentando il ridicolo soprattutto quando si parli di mobilità intraUE, cioè all'interno di quella casa comune, l’unione europea appunto, di cui siamo cittadini tanto quanto siamo cittadini italiani e nel cui ambito possiamo spostarci, soggiornare, lavorare senza nessuna formalità od ostacolo.

E poi trattenere “solo” i nostri talenti, oltre che controproducente, è troppo facile, perché ci sono già tanti legami con il territorio di origine che aiutano in questo senso, mentre l'obiettivo dovrebbe essere più ambizioso: creare condizioni che incentivino il ritorno di chi è già espatriato (con il valore aggiunto che può portare) e siano attrattive anche per giovani talenti, anche se privi di qualsiasi  precedente legame con il nostro territorio, perché lo scoprono rispondente alle loro qualità professionali ed adeguato alle proprie ambizioni e necessità, sotto tutti gli aspetti. Per far questo, piuttosto che interventi mirati, ad personam, rivolti solo ai cervelli espatriati, che implichino domande e concessioni ad un ristretto numero di persone, occorrono interventi generali di sistema, strutturali, che creino un habitat favorevole, rinomato come tale, di cui tra l'altro beneficerebbero anche tutti gli altri cittadini.

Il modello da imitare deve andare ben al di là di occasionali momenti di dialogo tra istruzione e mondo del lavoro, ma rifarsi piuttosto a quello definito a “tripla o quadrupla elica”, cioè del dialogo costante e della programmazione degli interventi, tra pubblica amministrazione, mondo dell’istruzione e della ricerca, mondo d'impresa e possibilmente società civile. Un modello da lungo tempo applicato, e sempre più perfezionato in altri paesi europei, soprattutto nordici, ma da noi ancora solo una chimera!

Giorgio Perini

 

Immagine: Charlie Murray/Wikimedia Commons