L'UE è una minaccia per l'Europa?
Per gentile concessione de “Il Piccolo”
“Lavoro” era la prima parola d'ordine alla convention dei sovranisti europei convocata da Salvini a Firenze. E le altre due erano sicurezza e… buon senso. Chi oserebbe dichiararsi contrario? Ma suona un po' stonato che vengano pronunciate da accaniti antieuropeisti provenienti da paesi che fino alla caduta del muro di Berlino e allo smantellamento dell'Unione sovietica, erano al di là della cortina di ferro, inseriti nel Patto di Varsavia e nel Comecon, soggetti all’invasione dell'Ungheria del 1956 o alla repressione nel sangue della primavera di Praga del 1968, ma questo non sembra ricordarlo più nessuno, soprattutto in quei paesi, purtroppo!
Anche il sollievo provato, al momento dell’invasione dell'Ucraina da parte della Russia, per il fatto che tanti di quei paesi erano ormai al sicuro, proprio perché entrati nell'UE, dando finalmente ragione a Romano Prodi che tanto si era speso - e tanto era stato attaccato- per l'ampliamento dell’UE a 25 stati membri (e poi a 27), sta lasciando spazio alla preoccupazione proprio per l'atteggiamento di alcuni di loro.
Ed è curioso che l'Europa che i leader dei partiti sovranisti europei hanno criticato, soprattutto per la sua burocraticità ed invadenza negli affari nazionali sia, in misura non trascurabile, figlia dell'approccio centralista e, diciamolo, non sempre democratico, proprio di parecchi nuovi funzionari europei, assunti in forze nei loro stessi paesi, dopo l’ingresso nell'UE, e spesso paracadutati in posizioni di rilievo senza avere la preparazione e soprattutto la sensibilità necessarie per applicare l’approccio multilaterale e partecipativo delle istituzioni europee. L’atteggiamento dell’Ungheria di Orban al Consiglio UE ne è un esempio lampante.
Diciamola tutta: gli interventi di parecchi partecipanti alla convention, ma in particolare del bulgaro Kostadinov (“L'UE è una minaccia per l'Europa”) hanno chiarito al di là di ogni dubbio che lo slogan “Europa libera” in realtà significa “Europa liberata dall'UE”. Ed è qui che emerge l'incoerenza con il richiamo al lavoro, perché molti nostri giovani lasciano il nostro Paese perché in altri paesi europei trovano un clima molto più favorevole (lavorativamente parlando!), fatto da maggiori opportunità di lavoro (non in nero), meritocrazia, spazi di carriera per i trentenni che da noi non avrebbero nemmeno a 60 anni, servizi per la famiglia (grazie ai quali si può limitare se non sconfiggere il cosiddetto inverno demografico), e, non ultima, la cosiddetta “flexicurity”, inventata proprio a Bruxelles, che punta a garantire la flessibilità, cioè la possibilità di cambiare lavoro, senza l’ansia di perdere la sicurezza, grazie ad ammortizzatori sociali abbinati a politiche espansive mirate verso il mondo produttivo.
Anziché liberare l'Europa, e quindi anche l’Italia, da questo tipo di politiche perseguite dall'UE, impegniamoci maggiormente a renderle concrete anche nel nostro paese in modo che i giovani siano invogliati a tornare, se non addirittura a non partire, e magari anche cittadini di altri paesi europei scoprano l’attrattività italica anche per motivi diversi dal paesaggio, dall'arte e dal clima.
Giorgio Perini