News

Il ritorno di Draghi

Per gentile concessione del "Gruppo Athesis"

Se quest'anno il discorso sullo stato dell'Unione (europea) ha guadagnato le prime pagine dei quotidiani italiani è stato grazie all’annuncio dell’incarico affidato da Ursula von der Leyen a Mario Draghi. “Preparare un rapporto sul futuro della competitività europea”: questo il compito assegnato a Draghi, come la stessa presidente della Commissione ha dichiarato davanti al parlamento europeo, ma esattamente in cosa consisterà? Non sarà solo un modo per rafforzare l’immagine della von der Leyen che punta alla riconferma, l'anno prossimo, quando sarà stato eletto anche il nuovo parlamento europeo?

Per interpretare meglio la portata dell'incarico si è fatto ricorso alla recente intervista di Draghi all’Economist che sembra il manifesto programmatico del suo nuovo impegno europeo, e non solo, visto che interpreta le politiche e le riforme europee necessarie in chiave geopolitica, cioè di rapporti con il resto del mondo, sotto l'aspetto della difesa, degli scambi commerciali e dell'energia (che implica anche le politiche ambientali). Ciò sarebbe coerente con il fatto che la von der Leyen si sia resa conto che ha più da temere dalle instabilità dei mercati, dalle crisi economiche e finanziarie, e dalla competizione con altre aree del mondo che dalle imboscate politiche, che sia nel PPE a Bruxelles o in patria, e perciò abbia fatto ricorso a Draghi quasi come un ambasciatore plenipotenziario dell'UE verso il resto del mondo.

Ma anche verso l'interno dell'UE, Draghi potrebbe fare la differenza, sostanzialmente riprendendo il lavoro dove lo aveva lasciato al termine del suo mandato alla BCE, con un incarico istituzionalmente meno “pesante” ma che gli consente di spaziare nell’ambito delle politiche economiche e di bilancio europee, alle cui carenze aveva tentato di supplire con la politica monetaria, peraltro con notevole successo. Lo testimonia il rilievo dato all’incremento delle entrate “proprie” dell'UE, quelle cioè che non dipendono dai versamenti degli stati membri, e la parallela centralizzazione a livello europeo di spese “strategiche” (non solo relative alla difesa comune), per esempio per investimenti, che risolverebbe il problema della loro incidenza sul rispetto del patto di stabilità e garantirebbe maggiore omogeneità e coerenza nella loro realizzazione. Le necessarie riforme delle regole europee (il sistema decisionale in primis) non sarebbero altro che lo strumento indispensabile per arrivare a questi risultati e verrebbero così, almeno in parte, spogliate del loro carattere ideologico.

Insomma, benché presentato in sordina, si tratta di un programma estremamente ambizioso che però, per essere portato a termine, avrebbe bisogno dell’investitura di Mario Draghi in uno dei ruoli chiave dell’architettura UE. A chi ha ipotizzato, per Mario Draghi, un futuro da presidente del Consiglio UE (la vera stanza dei bottoni) è stato osservato che c'è già la candidatura di Mark Rutte, premier olandese uscente, ma io non mi stupirei affatto se emergesse la convergenza sul nome di Draghi. Certo, non deve ripetersi per la terza volta lo scenario del 2014 e poi ancora del 2019, quando la candidatura di Enrico Letta, proposta da Francia e Germania, venne affossata dai governi italiani per logiche di bottega. Sarebbe un danno irreparabile, per l'Italia, per l'Europa, e non solo!

Giorgio Perini