L'integrazione europea alla prova dei “sovranismi”
Uno dei problemi più gravi che minaccia il processo di integrazione europea è costituito dalle suggestioni sovraniste presenti nei quattro Paesi dell'area Visegrad ma che di fatto stanno contagiando anche altri Paesi, Italia compresa.
Il fenomeno si manifesta in termini di crescente insofferenza nei confronti dei vertici dell'Unione Europea e delle regole che la presiedono, e si traduce nella rivendicazione di autonomia: “padroni a casa propria”. Dallo slogan all'idea di uscire dall'UE o quanto meno dall'euro per non essere più soggetti ai vincoli di bilancio, il passo è breve. E di fatto da alcuni anni il tema è oggetto di discussioni e convegni.
In realtà i “quasi scissionisti” di Visegrad - come gli ha definiti Franco Venturini sul Corriere della Sera - “guardano si a Washington e alla Nato ben più che a Bruxelles. Ma restano in Europa perché a trattenerli c’è una montagna di soldi che nel 2004 è stata tolta ad altri Paesi, Italia in primis, per favorire la coesione dei nuovi soci poveri”.
D'accordo sull'attacco ai “burocrati di Bruxelles”, i sovranisti sono poi in contrasto tra loro: il minimo sarebbe stato mostrarsi solidali con l’Italia sul tema dei migranti, ma la risposta è stata picche.
In effetti se sovranità vuol significare non avere nessuno sopra di sé, si può facilmente intendere quanto questo concetto sia vuoto ed infondato in un mondo globalizzato. Sergio Bartole, uno dei protagonisti del presente incontro, ha osservato qualche settimana fa su Il Piccolo che uno Stato ha una sovranità comunque condizionata, anche all'interno del paese, dalla situazione internazionale. E “ciò vale sul fronte politico e militare ma anche in materia economica e finanziaria”. Un esempio? L'Italia rinnova il suo debito pubblico ricorrendo ai mercati internazionali, ma se aumenta la spesa pubblica e aumenta il deficit di bilancio, il Paese perde di credibilità internazionale e per avere crediti dovrà impegnarsi a pagare tassi di interesse altissimi, che sottrarranno risorse agli investimenti per le infrastrutture o allo sviluppo o alla spesa sociale. Se si vogliono salvaguardare principi, valori e conquiste sociali che gli europei hanno saputo affermare nella loro storia, e in particolare negli ultimi settant'anni, solo una maggiore unità politica dell'Unione potrà permetterci di contare in un mondo dove si stanno affermando nuove potenze e in cui le relazioni multilaretali sono sempre più instabili e precarie. Davvero mai come in questo momento l''unione fa la forza.
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